L'appuntamento (capitolo uno, 3° episodio)

Quello di cui aveva bisogno era quel tipo di stanchezza leggera, che dolcemente fa indolenzire i muscoli quel tanto che basta, e che fa sentire rilassati. Al colloquio voleva essere perfetto. Nel parco non c’erano tante persone, ma qualcuno si voltava a guardarlo incuriosito, solo perché aveva addosso la maglietta palesemente alla rovescia, l’aveva così da quando l’aveva messa ad occhi chiusi, ancora rappresi dal sonno. Dopo qualche chilometro (quattro, non di più) ritornò verso casa, salì le scale a corsa, ansimando come un asmatico, e quando arrivò davanti alla porta gli parve di sentire, attraverso la musica rock sparata nelle orecchie, il telefono di casa. Si tolse la cuffia e sentì veramente suonare il telefono, un apparecchio di bachelite anni sessanta che si trovava nell’angolo della sala opposto a quello dell’ingresso, in pratica quello più lontano. Aprì la porta e corse all'apparecchio, terminando così l’allenamento mattutino. Tirò su la cornetta, ma con delicatezza, perché la bachelite è fragile, e tentò di rispondere, ma forse aveva esagerato con la corsa: il fiato era latitante, e la bocca aperta, in quell’istante, gli serviva per prendere ossigeno.

«Pronto? Pronto, ci sei?» chiese dall’altra parte una voce spazientita.

« Ss.. » non aveva la forza di rispondere, ancora ansimava.

«Pronto, Abele? Ma… è casa Toni?» alla fine si domandò la voce.

« si... e lampi » gli fu risposto con un filo di fiato. Era la madre di Abele, la signora Beatrice. Una donna sulla cinquantacinquina, ancora bella e piacente, ed era subentrata al marito, morto qualche anno prima, nella gestione dell’agenzia di assicurazioni, la “ Toni Assicurazioni”. Il dottor Tosco Toni era un pezzo grosso della città: plurivotato alle elezioni del consiglio comunale, faceva parte anche del Rotary Club, in qualità di prefetto. La scomparsa del caro Tosco fu una tragedia per tutti. Dopo un breve tempo di senso di smarrimento lei si rimboccò le maniche, forte di quel poco di esperienza acquisita nel campo delle assicurazioni per aver collaborato con il marito nel vendere qualche polizza, così, come passatempo tra lo shopping e il tè con le amiche. Nonostante questo, risultava dipendente dell'agenzia, quindi passò l’esame come agente generale e si buttò nell'impresa. Per i primi tempi l’impegno della signora Beatrice fu determinato da un impulso degno di Madre Teresa di Calcutta, destinato a salvare la carriera prevista per il figlio, il nome dell’agenzia ed il futuro delle ragazze impiegate. Con il passare del tempo, lentamente quell’impulso si trasformò in assoluta determinazione imprenditoriale, e l'impegno che la donna dedicava al lavoro era superiore ormai alle dodici ore su ventiquattro, tralasciando un bel po’ tutto il resto. La signora Beatrice stava telefonando dall’ufficio dell’agenzia:

« Ah! Abele, sei tu! Allora ci sei! Ho chiamato per ricordarti dell’appuntamento»

disse velocemente la donna mentre una sua collaboratrice le versava il primo caffè della giornata

« te lo ricordi? »

« Si, mamma, me lo ricordo! » rispose suo figlio, che si era un po’ ripreso, con tono spazientito, ma addolcito dalla consapevolezza che sua madre non era stressante per cattiveria: era così da sempre.

«Già, però sono le otto e quaranta e scommetto che non sei ancora pronto…Lo sai che quel colloquio è importante… »

« Mamma! Lo so da me che è importante, lo so forse più di te! Non ti preoccupare, non farò tardi. Ciao! »

« Appena sai qualcosa… »

« …Te lo faccio sapere, stai tranquilla. Ci sentiamo, sì... ciao! » tagliò corto Abele, altrimenti faceva tardi sul serio, e attaccò. Corse in bagno, si rinfrescò velocemente sotto la doccia e s’infilò l’accappatoio, avvicinandosi allo specchio. Si scrutò con attenzione, come se tentasse di capire chi aveva di fronte, e si chiese se quel tizio sarebbe stato capace di tenere testa a chi lo avrebbe interrogato al colloquio. Cancellò subito dalla mente l’idea di fare delle prove a voce alta, e iniziò a radersi la barba con il rasoio bilama e sapone spray. Naturalmente la fretta non è amica di tali attrezzi e, infatti, i tagli non mancarono, tanto che alla fine un bel cerotto troneggiava sul mento, a futura memoria. Accese la macchina per il caffè, e mentre quella si riscaldava, velocemente scelse dei vestiti che, secondo lui, (ma solo lui) erano eleganti e che legavano bene come colori: scarpe nere di capretto, pantaloni blu scuro con pences, camicia di cotone a maniche corte color acqua marina e giacca grigio chiaro a due bottoni, nessuna cravatta. Trangugiò il caffè bollente e tentò di trovare al primo colpo la cartella con i lavori da presentare al colloquio, quella dove c’era scritto “curriculum vitae”, ma in realtà conteneva solo disegni. Il colpo riuscì al terzo tentativo, dopo aver rovistato prima nei cassetti del tavolo da lavoro, quindi sul divano sotto i vestiti della sera precedente, lì abbandonati, ed infine trovò la benedetta cartella sopra il tavolo da disegno, ma sotto la maglietta usata per correre, buttata alla rinfusa (ma adesso non era più alla rovescia). Finalmente, era pronto per affrontare il primo impegno della giornata ed uscì raggiante e sicuro di se stesso, all’apparenza ragionevolmente tranquillo. Chiuse il portone di casa, e con il casco in una mano e la cartella nell’altra scese le scale, per raggiungere lo scooter parcheggiato nello scantinato condominiale.

© Massimo Rognini

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