Perché?


Perché voglio mettere in Rete un racconto che scrissi oltre dieci anni fa! Avevo a disposizione un blog già attivo, ma la sua natura è prevalentemente "visiva", fatta di immagini, quadri, disegni.
Ho iniziato a pubblicare su quel blog qualche stralcio iniziale, dove posto i miei lavori di pittura, ma mi sono reso conto che tutto questo ne avrebbe stravolto lo spirito di base per il quale è stato creato.
Ecco quindi un "luogo" diverso, dedicato a qualcosa di scritto.
A rileggerlo adesso, mi accorgo di quanto tempo è passato... e quanta strada ha fatto la tecnologia, il mondo delle comunicazioni. Rappresenta, per certi versi, uno spaccato di quei tempi: e rappresenta me, tutto sommato.
Dal punto di vista strettamente letterario e grammaticale, mi verrebbe voglia di correggere dei punti, di svilupparne altri. La cosa più ostica, però, riguarda il fatto che la storia non è finita: la lasciai a metà, a quei tempi. Chissà che non trovi nuova forza e nuove idee per terminarlo.
Buona lettura!
Massimo

L'appuntamento (capitolo uno, 1° episodio)

I due giovani ondeggiavano sul letto, nella notte silenziosa. La casa era deserta, e l’atmosfera che riempiva la camera era argentea, quasi azzurra. L’armadio era aperto ed una maschera di carnevale era lì appesa, come se stesse spiando. C’era anche un giradischi con la puntina dimenticata nell’ultimo solco del disco in vinile. Si sentiva il “toc” che scandiva il tempo: quello scorrere della vita per quei due corpi sembrava essersi fermato, mentre si abbracciavano sul letto verde, con la testata fatta come la testa di una rana. Gli occhi erano fosforescenti. Il ragazzo e la ragazza si rincorrevano tra le lenzuola, e quando si scontravano si stringevano forte. Il mondo fuori di quella stanza non esisteva. I respiri erano ansimanti, le labbra si cercavano, le mani esploravano, il petto fremeva, avido.

«Mmmh, sì …»

« Dai, toglitelo…»

« No, toglilo tu…»

«Te lo strapperei ! »

Il corpo di lui cadde carico di passione su quello di lei.

“Abbracciami, abbracciami !“

Era l’orsetto parlante di peluche, uno di quelli che se gli si tocca il pancino dicono una cosa e se gli si tocca il naso, un’altra ancora: era stato schiacciato inavvertitamente da una gomitata. Quello era soltanto uno della decina di pupazzi che corredavano il letto, e tutti facevano compagnia ai due amanti.

«Cos’è ?»

esclamò lui, agguantando il peluche per buttarlo via. Lo afferrò per l’orecchio, e il pupazzetto gracchiò ancora: “Questo mi piace!”. Il ragazzo fu preso dalla smania:

« Via tutto, via tutto! » Presero il volo una rana, poi un coniglietto. Allora la ragazza intervenne con voce mielosa:

« No, ti prego, non così…» Invece volò anche il topolino, ed infine una sveglia. Quella sveglia se ne stava, fino a quel momento, sepolta tra i peluche, e in silenzio. Invece piano piano la sua voce incominciò a farsi sentire, prima lontana, poi sempre più vicina. Allora lui la prese e la buttò per aria come gli altri pupazzi, ringhiando come un cinghiale. La sveglia, invece di cadere, si materializzò sul comodino d’Abele, e trillò finché una mano pesante, accompagnata da un grugnito, come di cinghiale appunto, non cadde sull’arnese infernale, ammutolendola. Come un giudice, quella mano aveva decretato la fine di una notte agitata da un sogno e l’inizio di un nuovo giorno.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo uno, 2° episodio)

«No…è già mattina!»

A peso morto profondò nel cuscino, come se avesse preso una mazzata tra capo e collo. Raccolse tutte le sue forze e s’issò a fatica a sedere sul letto, afferrò a tentoni la maglietta che aveva abbandonato sopra le coperte la sera prima, e con gli occhi chiusi dal sonno se la infilò, regolarmente alla rovescia. Inforcò le ciabatte e si diresse barcollante verso il bagno, uno stanzino formato cella che era il suo punto di riferimento ogni mattina, appena alzato: là dentro, infatti, veniva dissolta la patina dell’intontimento con una passata d’acqua fredda, e l’anima vi si sollevava liberandosi del peso del giorno precedente. Dopo essersi lavato il viso e aver ripreso conoscenza, piano piano si trascinò in soffitta, dove aveva sistemato la panchina con gli attrezzi per fare ginnastica, con i pesi in ghisa e bilancieri di varia lunghezza.

Sei chili sono anche troppi - pensò risoluto quella mattina – meglio non esagerare”.

Faceva esercizi tutte le mattine. Afferrò quattro pesi da un chilogrammo ed altri da cinquecento grammi e li infilò sui manubri, facendo poi scattare il gancio. Tre serie d'esercizi di sollevamento per i bicipiti furono sufficienti per ridurlo bagnato come un’anguilla, da tanto era riuscito a sudare con quel poco movimento. La mattina era calda e l’attrezzatura era sistemata proprio sottotetto, quindi l’aria era già pesante nonostante fossero le otto, ma d'altronde, non riuscendo mai a raggiungere un buon allenamento, si sarebbe infradiciato anche con una temperatura di dieci gradi. Passò in rassegna anche gli esercizi per i deltoidi, e prima di ripensarci decise di fare anche una corsa nel parco di fronte a casa, ma non più lunga di venti minuti: non voleva essere eccessivamente stanco. Poco dopo avrebbe dovuto sostenere un colloquio con il responsabile di un’agenzia di pubblicità: non voleva correre il rischio di addormentarcisi davanti, mentre gli stava presentando i suoi disegni ed i suoi progetti. Era, quella, una delle rare opportunità su cui contava parecchio: sperava di poter guadagnare un’assunzione o almeno una collaborazione. Si tamponò alla meglio il sudore con un asciugamano che teneva lì vicino agli attrezzi, s’infilò le vecchie scarpe da corsa, pantaloncini, cappellino, e, come ogni cultore del jogging che si rispetti, agguantò il lettore di cassette, le cuffie e si tuffò per le scale per raggiungere il parco.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo uno, 3° episodio)

Quello di cui aveva bisogno era quel tipo di stanchezza leggera, che dolcemente fa indolenzire i muscoli quel tanto che basta, e che fa sentire rilassati. Al colloquio voleva essere perfetto. Nel parco non c’erano tante persone, ma qualcuno si voltava a guardarlo incuriosito, solo perché aveva addosso la maglietta palesemente alla rovescia, l’aveva così da quando l’aveva messa ad occhi chiusi, ancora rappresi dal sonno. Dopo qualche chilometro (quattro, non di più) ritornò verso casa, salì le scale a corsa, ansimando come un asmatico, e quando arrivò davanti alla porta gli parve di sentire, attraverso la musica rock sparata nelle orecchie, il telefono di casa. Si tolse la cuffia e sentì veramente suonare il telefono, un apparecchio di bachelite anni sessanta che si trovava nell’angolo della sala opposto a quello dell’ingresso, in pratica quello più lontano. Aprì la porta e corse all'apparecchio, terminando così l’allenamento mattutino. Tirò su la cornetta, ma con delicatezza, perché la bachelite è fragile, e tentò di rispondere, ma forse aveva esagerato con la corsa: il fiato era latitante, e la bocca aperta, in quell’istante, gli serviva per prendere ossigeno.

«Pronto? Pronto, ci sei?» chiese dall’altra parte una voce spazientita.

« Ss.. » non aveva la forza di rispondere, ancora ansimava.

«Pronto, Abele? Ma… è casa Toni?» alla fine si domandò la voce.

« si... e lampi » gli fu risposto con un filo di fiato. Era la madre di Abele, la signora Beatrice. Una donna sulla cinquantacinquina, ancora bella e piacente, ed era subentrata al marito, morto qualche anno prima, nella gestione dell’agenzia di assicurazioni, la “ Toni Assicurazioni”. Il dottor Tosco Toni era un pezzo grosso della città: plurivotato alle elezioni del consiglio comunale, faceva parte anche del Rotary Club, in qualità di prefetto. La scomparsa del caro Tosco fu una tragedia per tutti. Dopo un breve tempo di senso di smarrimento lei si rimboccò le maniche, forte di quel poco di esperienza acquisita nel campo delle assicurazioni per aver collaborato con il marito nel vendere qualche polizza, così, come passatempo tra lo shopping e il tè con le amiche. Nonostante questo, risultava dipendente dell'agenzia, quindi passò l’esame come agente generale e si buttò nell'impresa. Per i primi tempi l’impegno della signora Beatrice fu determinato da un impulso degno di Madre Teresa di Calcutta, destinato a salvare la carriera prevista per il figlio, il nome dell’agenzia ed il futuro delle ragazze impiegate. Con il passare del tempo, lentamente quell’impulso si trasformò in assoluta determinazione imprenditoriale, e l'impegno che la donna dedicava al lavoro era superiore ormai alle dodici ore su ventiquattro, tralasciando un bel po’ tutto il resto. La signora Beatrice stava telefonando dall’ufficio dell’agenzia:

« Ah! Abele, sei tu! Allora ci sei! Ho chiamato per ricordarti dell’appuntamento»

disse velocemente la donna mentre una sua collaboratrice le versava il primo caffè della giornata

« te lo ricordi? »

« Si, mamma, me lo ricordo! » rispose suo figlio, che si era un po’ ripreso, con tono spazientito, ma addolcito dalla consapevolezza che sua madre non era stressante per cattiveria: era così da sempre.

«Già, però sono le otto e quaranta e scommetto che non sei ancora pronto…Lo sai che quel colloquio è importante… »

« Mamma! Lo so da me che è importante, lo so forse più di te! Non ti preoccupare, non farò tardi. Ciao! »

« Appena sai qualcosa… »

« …Te lo faccio sapere, stai tranquilla. Ci sentiamo, sì... ciao! » tagliò corto Abele, altrimenti faceva tardi sul serio, e attaccò. Corse in bagno, si rinfrescò velocemente sotto la doccia e s’infilò l’accappatoio, avvicinandosi allo specchio. Si scrutò con attenzione, come se tentasse di capire chi aveva di fronte, e si chiese se quel tizio sarebbe stato capace di tenere testa a chi lo avrebbe interrogato al colloquio. Cancellò subito dalla mente l’idea di fare delle prove a voce alta, e iniziò a radersi la barba con il rasoio bilama e sapone spray. Naturalmente la fretta non è amica di tali attrezzi e, infatti, i tagli non mancarono, tanto che alla fine un bel cerotto troneggiava sul mento, a futura memoria. Accese la macchina per il caffè, e mentre quella si riscaldava, velocemente scelse dei vestiti che, secondo lui, (ma solo lui) erano eleganti e che legavano bene come colori: scarpe nere di capretto, pantaloni blu scuro con pences, camicia di cotone a maniche corte color acqua marina e giacca grigio chiaro a due bottoni, nessuna cravatta. Trangugiò il caffè bollente e tentò di trovare al primo colpo la cartella con i lavori da presentare al colloquio, quella dove c’era scritto “curriculum vitae”, ma in realtà conteneva solo disegni. Il colpo riuscì al terzo tentativo, dopo aver rovistato prima nei cassetti del tavolo da lavoro, quindi sul divano sotto i vestiti della sera precedente, lì abbandonati, ed infine trovò la benedetta cartella sopra il tavolo da disegno, ma sotto la maglietta usata per correre, buttata alla rinfusa (ma adesso non era più alla rovescia). Finalmente, era pronto per affrontare il primo impegno della giornata ed uscì raggiante e sicuro di se stesso, all’apparenza ragionevolmente tranquillo. Chiuse il portone di casa, e con il casco in una mano e la cartella nell’altra scese le scale, per raggiungere lo scooter parcheggiato nello scantinato condominiale.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 1° episodio)

L’aria di quella mattina d’estate era cristallina e luccicante, e la città era in pieno movimento, le automobili sbuffavano in coda ai semafori come i pensionati alle poste. Con lo scooter però non c’erano problemi, si poteva passare ovunque. In pochi minuti Abele, serpeggiando nel traffico, arrivò davanti alla sede della “ Art & Design Comunications”, l’agenzia pubblicitaria alla quale aveva chiesto e ottenuto un incontro con il titolare. Quando suonò alla porta gli aprì una ragazza, abbastanza carina con tanti boccoli rossi, che con l’aria inespressiva prima guardò il cerotto, poi le mani e infine gli occhi:

« Sì ? »

« Buongiorno, mi chiamo Abele Toni e… avrei un appuntamento con il signor Bruni, per certi lavori che…ho qua dietro, con me…» La ragazza continuava a squadrarlo, con la faccia seria.

« …ma, c’è il signor Bruni?» chiese mezzo imbarazzato, come per dare una scossa alla ragazza, certo di non aver sbagliato indirizzo. La ragazza rispose:

« Sì, il dottor Bruni è nel suo ufficio. Entri, e si accomodi pure nella saletta, verrà chiamato».

« Comandi!» ribatté con un sorriso entrando nell’ingresso. Si accomodò su una poltroncina, quella d’angolo, e si mise la cartella sulle ginocchia. La ragazza, che era la segretaria, tornò alla sua scrivania, e premette il pulsante dell’intercomunicante:

«Dottor Bruni, è arrivato il signor Toni, per l’appuntamento delle nove…Sì, va bene» . Si volse verso Abele, e disse:

«Ancora qualche minuto, prego».

« Grazie!» disse lui con un sorriso, ma la ragazza dai capelli rossi per tutta risposta si voltò, prese una limetta per le unghie e si concentrò su quella del pollice sinistro.

“E’ strana. Quella ragazza ha qualcosa di strano” pensò aggrottando la fronte, e nell'attesa non gli rimase altro da fare che guardare le illustrazioni delle campagne pubblicitarie dell’agenzia che erano attaccate alle pareti del salottino e, appunto, attendere. Mentre osservava assorto lo slogan di un liquore, cominciò a sentire una voce, che piano piano iniziava nervosamente a salire di volume. Proveniva certamente dall’ufficio del dottor Bruni.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 2° episodio)

« Tu sei un cretino! »

«Allora: questo cliente si è rivolto a noi dopo una stagione non troppo felice per le vendite, e con noi vuole rifarsi. Allora: vuol dire che noi abbiamo la sua fiducia, giusto? Allora: il nostro cliente produce, in questo momento, panettoni, per venderli a Natale, giusto? »

la voce si alzò sempre di più, fino ad urlare:

«E allora, pezzo di rimbambito, tra una settimana dobbiamo presentare la campagna pubblicitaria al cliente che produce panettoni e tu invece fai i cartelloni e lo slogan per le colombe pasquali!! Che c’è, i panettoni hanno messo le ali? Fuori!! Ti do cinque giorni di tempo, e torna a lavoro fatto! Via!»

Abele rimase immobile sulla poltroncina a fissare allibito la porta dell’ufficio del dottor Bruni, che aveva di fronte. e si faceva sempre più piccino. S’immaginò quella stanza come una gabbia, e che dentro ci fosse un leone che ruggiva contro un topolino rintanato in un angolo. La porta si aprì di scatto e il topolino uscì. Tutto scarmigliato e rosso in viso, con delle immagini di colombe tra le mani si diresse verso la scrivania della segretaria:

« Giulia, per favore, mi rispedisci.. anzi, se me la stampi, una copia della commessa della Palmieri, la mia l’ho persa... in questi giorni ho il computer in avaria! Sono andato a memoria, ma… sono uscito leggermente fuori tema. Sai, la fantasia ha preso il volo e... »

« Eccola qua » . La segretaria schiaffò in mano all’uomo la copia della commessa Palmieri, già lì bell'e pronta.

« Grazie! Ci… ci vediamo tra cinque giorni, eh? Speriamo che il capo sia un po’ più calmo… »

« Arrivederci... » disse la segretaria mentre l’uomo scompariva nel corridoio che portava all’uscita.

Abele era senza parole. “Ma che tipo!” pensò, mentre avvertì una punta di antipatia per la ragazza; stava controllando l’agenda sul computer che aveva sulla scrivania. Dopo un attimo sentenziò:

« Signor Toni, si accomodi, prego ». Si alzò, bussò leggermente e subito aprì la porta della gabbia del leone, sulla quale c’era scritto “Art Manager Dott. Bruni”. Con la cartella stretta sul petto la seguì lentamente, non potendo fare a meno di deglutire. La segretaria si affacciò e annunciò:

« Dottor Bruni, c’è il signor Toni per il colloquio ». L’uomo dava le spalle alla porta, ed era in mezzo alla stanza.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 3° episodio)

« Ah, sì! Fallo accomodare!» disse voltandosi. La segretaria scivolò via e Abele timidamente si fece avanti, entrando nell’ufficio. Questo era proprio il tipo d‘ufficio che uno si aspettava da un “Art Manager” di un’agenzia di pubblicità. Sulla destra troneggiava una bella scrivania di legno scuro con un piano di vetro, e sopra regnava un computer con un grande schermo, una lampada nera, qualche foglio, un portapenne. Sulla sinistra c’era un angolo salotto, qualche poltrona attorno ad un tavolino da fumo, e sotto si stendeva un tappeto persiano di colore marrone e rosso. Lì accanto era sistemato un mobile bar con qualche bottiglia di buon whisky, brandy, analcolici e una macchina per il caffè, accesa e con due tazzine sotto. Di fronte troneggiava una lavagna luminosa per le proiezioni, e nell’angolo una lavagna, tradizionale, a grandi fogli bianchi. Tutte le pareti dell’ufficio, come quelle del salotto d’attesa, erano coperte da immagini e slogan create dalla “Art & Design Comunications”. Il dottor Bruni tese la mano ad Abele, e con aria inaspettatamente gioviale sorrise:

« Si accomodi, signor…signor ? »

« Toni, Abele Toni, buongiorno…» rispose un pò preoccupato, mentre l’altro gli stritolava la mano destra, e si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania.

« Bah! Buongiorno un corno… Ma lasciamo perdere, anzi: mi scusi, ma sono uscito fuori dei gangheri. Quel ragazzo è bravo, e parecchio! Però è distratto, chissà dove ha la testa, e questa è una cosa che io non sopporto… » Il dottor Bruni si girò e andò all’angolo bar, dove c’era la macchina da caffè accesa:

« Avevo preparato il caffè, ma ho cacciato via il Rossi prima di farglielo bere. Lo prende lei un caffè?» gli chiese mentre il dottor Bruni cominciava a sorseggiare il suo.

« No, grazie. Il caffè… rende nervosi… »

« Invece per me è un toccasana! Arrivo in ufficio sempre a digiuno, non faccio mai colazione al bar perché non si trova mai un posto per l’automobile, e allora lo prendo qui. Mi dà la carica per la giornata! Allora, veniamo a noi: ha qualcosa da farmi vedere, vero? Sua madre, con l’assicurazione sulla vita mi ha accalappiato, sono diventato suo cliente e mi ha parlato dei suoi lavori, delle sue aspirazioni… »

« Ho una cartella con me, con le ultime ideine, ma... a dire il vero qualcosina l’avevo spedita anche per posta, due mesi fa… » rilevò timidamente, quasi per sminuire il lavoro preparato.

« Ah, sì…Quei progetti che sono arrivati per posta… Sì, quella cartella.. » cercò di ricordare il dottor Bruni ad occhi chiusi, poi li aprì, andando verso la scrivania.

Abele approfittò della pausa per ingraziarselo un po’:

« Sapete, seguo sempre i lavori che escono da quest’agenzia, sia alla televisione sia sui giornali. C’è sempre quel che di originale… Una firma, direi! Per esempio quella pubblicità sui pomodori senza semi era micidiale: il pomodoro senza semi, quella coppia di sposi che rotolava nella salsa, quel gioco di luci…Insomma, forte!» Stava seguendo il capo, quando arrivarono alla scrivania gli porse la cartella che si era portato con sè:

« ... ecco qua...»

« Sì, certo » - rispose il dottor Bruni afferrando le carte

« tentiamo sempre di fare campagne pubblicitarie di tendenza, che cerchino di attirare l’attenzione sul prodotto in modo diverso dall’usuale, ma …veniamo a lei!» disse tagliando corto.

« Ho visto, e vedo, che la mano ce l’ha buona – osservò mentre apriva la cartella e sfogliava il contenuto – e vedo anche che ha delle idee che…potrebbero anche essere studiate con attenzione, non sono male ma… - il dottor Bruni pareva quasi imbarazzato - mi chiedevo: d’accordo, sa usare gli strumenti tradizionali, si vede, ma credo che sappia che in questo campo adesso i supporti di lavoro non sono più il pezzo di carta e le matite. Ma i vari programmi informatici, come fotocomposizione, ritocco, Visual 3D… Li conosce? Non li ha mai usati? »

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 4° episodio)

Abele sentì il sangue che improvvisamente gli scese ai piedi. A lui piaceva disegnare, c’era portato. Amava mettere i colori assieme per dare vita ad un’idea che nasceva eterea nelle sua testa, e gli piaceva vestirla con i pezzi di carta colorata, profumarla con le essenze delle tempere e gli odori dei pastelli, e sentirla cantare con il rumore che fanno le pagine quando si sfogliano. Di natura testarda, ma anche un pò infingarda, non si era mai adeguato alle moderne necessità del settore, complice una cronica tendenza ad essere quasi sempre al verde, che lo aveva sempre precluso da investimenti in attrezzi e strumenti. D’altronde, anche l’arredamento e gli elettrodomestici del suo appartamento denunciavano un certo gusto retrò. “Non ho un computer, quei programmi non li ho mai usati” avrebbe potuto dire, ma si morse la lingua, sapendo che se il discorso fosse scivolato verso quegli argomenti sarebbe stato un uomo morto.

« Ma…insomma » bisbigliò con cautela, ma sembrava che il dottor Bruni gli avesse letto nella testa:

«Vede» iniziò con un tono quasi paternale

«la nostra agenzia opera nel settore da anni, e si sforza di offrire sul mercato prodotti di alta qualità, e al nostro cliente mostriamo il progetto ideato per lui con qualcosa che lo impressioni, che lo attiri, prima ancora di scendere nei particolari. La forma è tutto, ragazzo mio, la prima impressione è quella che conta!»

«Ha perfettamente ragione!» tentò di riprendersi drizzandosi sulla schiena

«La prima impressione è quella che conta! Infatti, appena penso ad una novità da mettere sul mercato e cerco il modo di lanciarla, la prima pensata è quella più giusta, più originale, più vera… »

stava sbracciando con entusiasmo, ma intervenne il dottor Bruni:

« Va bene, va bene, ma non è sufficiente buttarla giù con il carboncino su un foglio, e basta. Occorre svilupparla su supporti moderni, che si possono facilmente trasmettere in rete, scambiare, correggere all’ultimo minuto senza rifare tutto, e poi, hanno il loro impatto! Per esempio: la posta elettronica, ce l’ha? »

« No... » rispose amaramente, rimanendo con un braccio alzato

«Peccato, perché attraverso quella, o in ogni caso attraverso Internet, ci scambiamo quasi tutto il materiale, dal produttore al consumatore, cioè il cliente, comprese tipografie e studi di produzione televisiva. Mi dia retta: si aggiorni, le capacità di base per il settore non le mancano. Le idee sono dopo tutto le cose più importanti, se mancano quelle…non c’è computer che tenga. Però, quello che le serve, bisogna ammetterlo, è il saper usare questi strumenti. Usi la matita solo per fissare il concetto…Senta, terrò presente i suoi lavori, non si preoccupi! La farò chiamare, se ci saranno degli sviluppi. Lasci l’indirizzo di posta….cioè, il numero di telefono…Ce l’ha la segreteria telefonica, vero?» chiese il dottor Bruni ormai sospettoso.

« Ce l’ho, quella ce l’ho… » rispose Abele ormai deluso e sconsolato.

« Bene, lasci tutto alla signorina Giulia che poi eventualmente ci sentiremo! »

Il dottor Bruni si alzò e tese la mano con dietro un bel Rolex per la seconda volta:

« Le auguro una buona giornata, signor… »

«Toni… » Alzandosi a sua volta, strinse la mano che aveva sotto il naso e guardò con aria triste la cartella che giaceva, aperta, sulla scrivania, e guardò il dottor Bruni:

«Grazie di tutto, spero di risentirci presto! »

« Oh, si figuri…grazie a lei! Arrivederci! »

Lentamente si girò sui tacchi e uscì dallo studio, mesto.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo otto, 3° episodio)


«Ciao…― entrando Abele osservò il leggero vestito a fiori, lungo e sbracciato, che metteva in risalto i seni ed i piccoli sandali di cuoio. I capelli erano raccolti in su con delle mollette di legno – Mia madre non c’è neanche oggi, vero?»
«No, anche oggi è in giro… Anzi, domani parte per un meeting con la direzione, e sta via per qualche giorno, ma penso che te l’abbia già detto…Ehi! – esclamò quasi meravigliata Ambra – Guarda lì come sei vestito oggi! Stai bene, mi piace quel completo…»
E di quello che lo riempie cosa ne dici?” avrebbe voluto ribattere, ma quello che riuscì a dire fu:
«Ah, grazie…Sai, ogni tanto si cambia un po’ il guardaroba. Però stai bene anche te…»
«Grazie! Allora? Che mi racconti di bello?»
«Mah…niente di speciale. Andavo in giro, e mi sono fermato qua a trovarti!»
In quell’istante gli venne in mente che avrebbe dovuto inventarsi una specie di copertura, per spiegare la provenienza degli “eventuali” soldi che avrebbe guadagnato con quell’attività di accompagnatore, e per coprire le sue assenze.
«C’è forse in ballo un lavoretto come venditore di enciclopedie… infatti vengo adesso da un incontro con il gruppo. Sai, una cosa così, da fare quando capita… Dovrò prendere appuntamenti, andare quando torna comodo ai clienti, dovrò vestire nel modo giusto…Però è una cosa campata in aria, niente di serio!»
«Ma come! – disse Ambra stupita – Sei scappato da qua perché non sopportavi la vendita delle polizze, e ora rincominci con le enciclopedie? Allora tanto vale che tu torni con noi, no?»
«No, guarda…Con mia madre sul collo non è il caso…Voglio essere libero da condizionamenti!»
In realtà sarebbe stato al settimo cielo, se fosse tornato a lavorare con Ambra, ma la signora Beatrice e il figlio sul lavoro non andavano d’accordo. Mentre guardava fuori dalla finestra Ambra disse:
«Ah, comunque t’invidio! Tu sei sempre fuori, a giro, prendi aria vedi gente…»
«Anche tu vedi gente!>> fece osservare Abele.
«Già, gente incavolata! Aggiungi anche che sono sempre rinchiusa qua dentro…Per carità, non ci sto male. Ma a volte, quando vedo il sole fuori, mi viene la voglia di scappare e di stare a piedi nudi su un prato, o di essere al mare…»
«Ti capisco, lo fa anche a me …Però ti voglio raccontare una cosa. Quando andavo a scuola, al liceo, quando ero in classe a volte guardavo la finestra e osservavo le automobili che viaggiavano per la strada. C’era la sposa che andava a fare la spesa, c’era l’idraulico che andava a casa di un cliente, c’era il rappresentante, c’era il furgone dell’ENEL, e dicevo: “Beati voi che siete in giro…Io, invece, sono chiuso qua dentro per tutta la settimana!” Ora, dopo anni, che passo la maggior parte del tempo per le strade, mi ricordo di quei momenti con nostalgia, e dico: ”Potessi tornare indietro, e potessi tornare ad essere chiuso nell’aula del Liceo!»
«Anch’io tornerei volentieri a quei tempi… - rispose la ragazza con un sospiro – Forse farei anche delle scelte diverse da quelle che ho fatto…»
«Per esempio?»
© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 5° episodio)

Una volta chiusa la porta, raggiunse la scrivania della segretaria Giulia, si fermò e osservò che lei ancora armeggiava con la limetta per le unghie, pollice sinistro. Si avvicinò e tentò di attaccare discorso, in maniera amichevole:

« Ma il principale è sempre così? Come stamattina? Perché se dovesse graffiare e mordere…grrr...»

a questo punto, mentre faceva il verso, fece una mossa con le mani, mimando l’attacco di un animale feroce verso una preda indifesa

« non devi far altro che chiamarmi…! » concluse, e la faccia che allegò a questo tentativo di fare il simpaticone fu quella del pesce bollito; afferrò una penna della scrivania e scrisse il suo numero di telefono su un foglio, rendendolo alla ragazza con aria complice:

« ...e io ti salverò ! »

« Lo terrò presente, signor Toni. Buongiorno. » rispose lei, alzando gli occhi ma senza smettere di restaurare il pollice sinistro.

« Buongiorno…» echeggiò svuotato da ogni prospettiva di successo, calando lentamente il foglio sulla scrivania, quindi si allontanò, e piano piano:

« Ecco... tienilo presente, sì, ma speriamo che tu lo trovi occupato, tegame! »

Così borbottando arrivò al portone. Uscì e lo richiuse, per non tornarvi mai più.

Quello che successe dopo avvenne in un lasso di tempo tutto sommato breve, due giorni. Nel pomeriggio, verso le quattro, aveva un altro appuntamento, presso una ditta di promozione aziendale, ma anche in quell’occasione il colloquio non ebbe un esito favorevole. Non dipendeva dalle sue capacità o meno, ma dal fatto che lì dentro facevano tutt’altra cosa, in confronto a quanto si aspettava. Il giorno dopo ci fu un altro incontro, senza appuntamento, con il responsabile di una ditta di cartelloni pubblicitari stradali. Anche in quel caso, niente da fare. Al colloquio successivo si manifestò in tutta la sua violenza la nuda e cruda realtà: neanche parlò, senza tanti complimenti ricevette una porta chiusa in faccia, neanche fosse stato un venditore porta a porta. Fu l’ulteriore prova della difficoltà in cui si trovava in quel momento. Non poteva bastare il volantinaggio, non poteva bastare qualche ora al nero come cameriere, non voleva impelagarsi nella vendita di polizze per l’agenzia di sua madre, ma le bollette continuavano ad arrivare, e nel frigorifero cominciavano a manifestarsi strani fenomeni di eco, come nelle stanze vuote di un appartamento appena costruito.

Bisognava escogitare qualcosa.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo tre, 1° episodio)

« D’accordo signor Rossi, quaranta milioni di warrant al rialzo sulla quotazione del cacao, da togliere appena si supera il due per cento…Bene! Si, certo. Ci sentiamo più tardi, arrivederci signor Rossi! »

Attaccò il telefonino e si avventò sul panino.

Paolo era l’amico, il cosiddetto migliore amico, di Abel. Lui ingegnere c’era diventato davvero. Erano compagni di liceo, e quando finirono s’iscrissero assieme alla facoltà di ingegneria. Tra alti e bassi Paolo si prese la sua bella laurea, invece Abele mollò quando morì suo padre. Non se la sentiva di rimanere passivo e inattivo di fronte alle difficoltà della famiglia, quindi decise di interrompere gli studi e di aiutare sua madre nella gestione della “Toni assicurazioni”. Più avanti, diceva, avrebbe ripreso gli studi, ma quel momento non arrivò mai. Paolo Settembrini era un ragazzo dinamico, spumeggiante e dannatamente “hi-tech”, praticamente tutto il contrario di Abele.

Si occupava di compravendita di azioni e titoli per conto dei suoi clienti, con la specialità che tutto questo avveniva attraverso un computer portatile e il telefono cellulare: tramite Internet gestiva tutto. Quegli apparecchi, indispensabili, erano diventati come delle parti supplementari del suo corpo. Era sempre vestito con completi di colore scuro, tra grigio e nero, sembrava quasi che fosse fatto di plastica, come quella di colore antracite del cellulare e del portatile, e che sotto la cravatta vi fossero misteriosi circuiti elettronici al posto di un normale cuore.

Chi aveva invece l’occhio allenato al “management” avrebbe detto che vestiva come tutti gli ingegneri dell’IBM: in nero e camicia bianca.

I due erano seduti ad uno dei tavolini di un bar del centro, all’aperto con vista sulla piazza. Era l’una e mezza. Abele aveva chiesto all’amico se pranzava con lui, aveva bisogno di sfogarsi un po’, di parlare. Lo guardava, mente gesticolava con il cellulare all’orecchio, con un espressione a metà tra l’invidia e la compassione, e accennava ad un leggero movimento di disapprovazione con la testa, ma sorrideva.

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L'appuntamento (capitolo tre, 2° episodio)

«Certo che con quel lavoro che ti sei inventato, sei sempre indaffarato! Non c’è un attimo di tregua: da quando siamo qui è la quarta telefonata! Non c’è pace, e staccalo…!»

«Eh, hai ragione, scusa!» rispose Paolo dopo aver chiuso il telefonino

«ma sai, con questo lavoro bisogna essere sempre on-line! C’è gente che chiama a tutte le ore. Si passa da quello che ti chiama durante la pausa mensa, da chi sta dietro alle borse che stanno dall’alta parte del mondo, ti chiamano nelle ore più impossibili…Ma che faccio? Non li accontento? Il mio lavoro consiste nel prendere il prendibile! Con quest’aggeggino – disse Paolo sornione, battendo dei colpetti sul cellulare come se stesse dando una pacca sulle spalle di un amico – ho il mondo in pugno! Con Internet, poi, e’ una goduria…Abele, non hai mai voluto darmi retta, ma ti ho sempre detto…»

«Mi hai sempre detto – lo precedette Abele – che dovrei comprarmi un computer, allargare i miei orizzonti, propormi all’estero, che tanto con quell’aggeggino è facile…» e indicò il computer portatile

«ma vedi, il fatto è che in quella maniera non mi diverto, non mi attira! Io la soddisfazione la trovo facendo le cose con gli strumenti che ho sempre usato; fare dei disegni con l’elettronica, con il computer... mi sembra che questi cosi lascino un velo di nebbia tra la creatività e la naturalezza, tra…»

«Dici così solo perché non hai esperienza ad usare i programmi!», lo interruppe Paolo.

«E’ come imparare ad andare in automobile. Finché non hai imparato dici: “E chi me lo fa fare? Vado in bicicletta, guidare l’automobile è pericoloso!” Ma quando dopo un po’ di tempo ci prendi la mano, allora sì che vai, e ti accorgi che con la macchina si va meglio, e più veloce! E guidi senza pensare a guidare, la macchina va da sé. O no?»

«Hai ragione, però…» Abele ingoiò un pezzo di panino che era rimasto a metà gola

« però come…» e fu di nuovo interrotto dalla suoneria del cellulare di Paolo

«Sì, pronto?» Il cellulare di Paolo aveva trillato e l’attimo seguente lui aveva già risposto

«Eccolo là!» fece desolato Abele con un gesto della mano,a voce bassa. Paolo gli rispose silenziosamente alzando le spalle, e alzando contemporaneamente le sopracciglia, come a dire

“ eh, oh… o allora?”


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L'appuntamento (capitolo tre, 3° episodio)

«Bene, Grazie! Sì, l’operazione è fatta, è tutto depositato sul database. Può controllare lei stesso sul sito Internet. Oggi stesso, dopo un paio d’ore dall’operazione, le sarà depositata la cifra sul suo conto…Va bene, grazie. Arrisentirci!»

« Hai fatto un altro affare, eh?» sorrise Abele.

« Sai, si fa quel che si può…A volte va male! Ma sono i clienti quelli che fanno l’ordine… Io do solo suggerimenti e indicazioni…»

«Certo, ma scusa: i clienti ti perseguitano sempre? Voglio dire, ventiquattro ore su ventiquattro? E quando stavi con… come si chiamava, Samanta? Era uno stress continuo come ora? Ci credo che poi alla fine ti ha mollato! Con quell’affare sempre acceso… Un po’ di intimità in certi momenti non guasta!»

«Ah, la dolce Samanta…che tette che c’aveva. Non era niente male…C’aveva anche un gran senso degli affari… Sarebbe riuscita a vendere un attico ad un barbone!»

Paolo aveva adesso un'aria sognante, e un sorrisetto beota.

«Ma è vero che l’hai conosciuta attraverso Internet? Sulle...come si chiamano, chat-lines?» domandò Abele.

«Vero, giuro! Non era il caso di Samanta, ma sulle chat-lines si trovano certe zoccolone… Te ne trovo una anche a te?»

«No, guarda, lascia stare. Già sto nei casini…» si schernì Abele

«Che c’è, l’Ambretta, eh?» intervenne Paolo mentre stava addentando l’ultimo angolo del panino.

«Eh si: la vespa! No, dai... non infierire! Ambra s’è anche lasciata con il ragazzo che aveva, tre settimane fa!»

«E allora? Bene, no? E’ l’occasione buona! Esce uno, entra l’altro!» Paolo incitò l’amico, con aria da sapientone.

«Paolo, dai, non posso. Mi sembrerebbe di approfittare della situazione…Lei ora è fragile, dal punto di vista affettivo, sparerei sulla croce rossa! E poi lo vede ancora…»

«Sei irrecuperabile. Sei ormai totalmente irrecuperabile» sentenziò Paolo.

«Se io fossi al tuo posto, vedresti che festa gli farei: la ragazza non è male. Un mazzo di fiori, una cenetta intima in un ristorantino romantico…molto importante il ristorantino. E dopo»

«E dopo ricordati di spegnere il cellulare, sennò…Ovvia, finiscila!» tagliò corto Abele, con un tono di voce che lasciava trapelare una sorta di gelosia, come se tentasse di difendere la ragazza da quell’attacco frontale prospettato da Paolo.

«Senti, Paolo…» continuò Abele

«Parliamo di cose serie…»

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L'appuntamento (capitolo tre, 4° episodio)

«Perché, le donne non sono una cosa seria?» rise Paolo.

«Ascolta: non è che a te serve un tizio che…magari ti fa da segretario, da portaborse, da porta-computer…Ecco, trovato! Ti faccio da Segreteria Telefonica: mi metto la minigonna e rispondo al cellulare in falsetto “Qui è la segreteria personale del dottor Settembrini…”».

In effetti, il vero motivo per cui Abele voleva parlare con Paolo era quello di chiedergli se aveva bisogno di qualcuno, perché lui aveva urgente necessità di trovare lavoro.

«Ti sono andati male, quei colloqui, vero?» chiese Paolo con l’aria crucciata.

«Già, non ne ho imbroccato uno che fosse uno! Comincio a pensare che il mondo della pubblicità ormai sia un club privé…» commentò Abele.

«Te l’ho detto prima…quando hai imparato a guidare, non te n’accorgi più! La macchina sembra girare da sola! Comunque, mi dispiace, io mi basto da solo, anzi quasi avanzo! Però giuro: quando, e se, mi allargherò, diventeremo soci! Stai attento però ad avere grana, per quel tempo! Quella serve!»

«D’accordo…» disse Abele con la faccia del bambino che giura di non confidare un segreto a nessuno

«…ce l’avrò, la grana. Ma prima dovrai sopportarmi come apprendista e rivelarmi il profondo mistero che si annida in fondo alle borse…»

«...le palline antitarlo di canfora!» sbottò Paolo, e scoppiarono entrambi a ridere.

Mentre si stava esaurendo l’onda della risata riattaccò a suonare il cellulare di Paolo. Abele improvvisamente s’immaginò un bambino che tirava insistentemente la giacca al papà: “Babbo, Babbo, voglio un gelato!”. Ad Abele parve di sentire la voce di quel bambino echeggiare nell’auricolare del telefonino: “Babbo, Babbo, voglio vendere!”

«Sì, signore! Vuole vendere subito?» Paolo aveva risposto all’ennesimo cliente.

«Come dice? Ah, si trova qui in città, in centro…Beh, sì, potremmo incontrarci…Sì, anch’io sono casualmente qui in centro»

Paolo si alzò guardando Abele, e stringendosi nelle spalle:

«D’accordo…mi scusi un attimo» poi, tappando con una mano il microfono del cellulare bisbigliò:

«Devo scappare, scusami…Ci sentiamo stasera!» Se n’andò continuando la conversazione, con il personal portatile sottobraccio. Ad Abele non restò che salutarlo ad alta voce:

«Grazie lo stesso! Ti telefono!»

Poi abbassò gli occhi sul tavolino, dove vide le mani di un cameriere che stava sparecchiando, il quale disse:

«Posso?»

«Sì, sì! L’uomo di Wall Street è corso via. Sa, ha trovato un serpente monetario nel panino, s’è spaventato ed è scappato…». Il cameriere stava per replicare qualcosa, ma Abele lo precedette:

«Stavo scherzando…Quant’è? Pago io…»

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L'appuntamento (capitolo quattro, 1° episodio)

Ad Abele piaceva passeggiare per la città. Il centro, a quell’ora, era sempre affollato, e le vie erano un andirivieni di automobili, di bus, di biciclette ma soprattutto di gente. Persone che camminavano. Chi andava verso destra, chi andava verso sinistra, chi parlava al telefonino, chi parlava con il compagno di viaggio. Per Abele quello che rendeva viva una città erano le luci, le finestre aperte attraverso le quali si poteva vedere il tipo di copridivano che aveva scelto la padrona di casa, oppure i quadri appesi. Era tutto ciò che occupava le strade, e le rendeva tappeto di migliaia di esistenze, ognuna diversa dall’altra e ognuna con una storia diversa da raccontare. Migliaia di esistenze che si ignoravano.

Completamente.

La città è fatta di persone che si osservano, si scrutano e formulano taciti giudizi l’uno sull’altra, e che ognuna tiene dentro di sé, per parlare solo con se stesse. O al massimo con gli amici, con i fratelli della propria tribù. Abele sapeva che una città è come un grande insieme di tante e diverse tribù, di gente di razza diversa. Come tribù sparse nella foresta amazzonica, che vivono lontane tra loro, le tribù della città, nonostante vivano a gomito a gomito, si ignorano a vicenda.

Ad Abele piaceva tutto questo. Si aggirava per le strade, con le mani in tasca, osservando la gente, squadrando le vetrine e le commesse. Tutti gli altri erano estranei, era come se per la strada ci fosse solo lui, uno straniero tra tanti appartenenti a tribù straniere, anche se tanti li aveva visti diverse volte. Gli piaceva pensare di fare parte di un grande insieme immaginario, dove tutti erano inconsciamente necessari agli altri, forse anche solo per raggiungere un equilibrio “cosmico”, fatto di sole presenze. Abele non avrebbe mai vissuto in un posto isolato, lontano da tutto e da tutti. Ne sentiva il bisogno, talvolta, ma riusciva a reggere solo per un breve periodo, una specie di vacanza, come una purga.

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L'appuntamento (capitolo quattro, 2° episodio)

Abele stava seguendo i flussi del fiume di persone quando passò davanti all’edicola, quella bella fornita, dove spesso faceva acquisti. Lanciò l’ancora e si tirò verso la sponda, attraversando il fiume di gente. Osservò i titoli delle locandine dei quotidiani, quasi tutti simili tra loro, poi passò a rassegna i fumetti di Dylan Dog. Ragazze svestite gli ammiccavano dal vetro dell’interno della porta dell’edicola, promettendo cavalcate estenuanti, tutte incellofanate. Mentre il giornalaio era intento a fare un resto, Abele si mise a cercare quello che gli interessava, allungando il collo sul banco frontale, ma non trovandolo si rivolse al venditore:

«Scusi, cercavo “La Pulce”, “Portobello” e “Il mercatino”! Ci sono le ultime edizioni?»

«Ci sono, ci sono!» rispose quello, mentre porgeva un quotidiano ad un’anziana signora.

«Ecco il resto, signora Cavalli! Giovanotto, guardi: la “Pulce” del martedì ce l’ha sotto il naso, la prende lei?» disse indicando col dito mentre prendeva le altre due riviste.

Abele si chiese perché non le teneva tutte assieme sul frontale, quelle riviste. Pagò, si mise i giornali sotto braccio e si rituffò nel fiume di persone. Più avanti si soffermò sulla vetrina di un’agenzia di viaggi. Con aria sognante osservò i depliant che erano sistemati dietro al vetro: crociere nei mari del sud, voli in America, soggiorni in Africa. Sarebbe stato bello prendere e partire, pensava Abele, conoscere posti nuovi, gente nuova, impregnarsi dell’aria e della vita di un mondo diverso. Abele sapeva anche che non avrebbe accettato una vacanza preconfezionata da un’agenzia, l’aveva sempre considerata come un pezzo di mondo finto, inserito a forza dentro un mondo straniero, tra loro indipendenti. Dal mondo finto si sarebbe visto il mondo straniero, proprio come lui stava facendo in quel momento con i depliant attraverso la vetrina. Abele era un turista-fai-da-te, tipico degli squattrinati: gli sarebbe piaciuto un viaggio avventuroso, di quelli con lo zaino in spalla, e girovagare come gli antichi viandanti, per calarsi completamente nel quotidiano, vivo e verace, del primo paese che capita dopo un lungo girovagare, e trovare una locanda presso la quale ottenere rifugio. Poi, improvvisamente, Abele si guardò al vetro e tornò con la mente alla realtà, in quel momento per lui avara di occasioni fortunate.

Distolse lo sguardo dalla vetrina e dal décolleté della ragazza dietro al banco per continuare a passeggiare. Raggiunse una libreria lì vicino. C’era stato altre volte. Aveva incominciato a leggere un libro che lo interessava, qualche giorno prima. Non lo comprò mai, quel libro. Entrò, gironzolò un po’ tra le colonne di libri e alla fine si fermo lì, al banco dei saggi. Afferrò con aria disinvolta il libro, dal titolo “ Ditelo con i colori” e furtivamente iniziò a leggere un nuovo capitolo. Quando si accorse che un commesso lo stava guardando in modo strano ed insistente, Abele fece finta di interessarsi ad altro e ripose il suo libro, con l’accortezza di sistemare il cartoncino su cui stava scritto “Per favore non sfogliare” alla pagina che aveva appena finito di leggere. Uscendo dalla libreria Abele decise di incamminarsi verso la “Toni assicurazioni”.

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L'appuntamento (capitolo quattro, 3° episodio)

L’agenzia Toni si trovava in un bel palazzo dell’ottocento, in pieno centro cittadino, e non aveva ascensori. In poco tempo Abele fu davanti al portone d’ingresso. Suonò al campanello, e chinandosi un po’ disse:

«Ciao, sono Abele! Mi apri?» Il portone si aprì con un “toc” e svelò un ampio ingresso con il pavimento in marmo ed il soffitto con le arcate, tutte dipinte a tempera. Le scale erano comode, di quelle con l’alzata bassa. Con quattro salti Abele fu davanti alla porta dell’agenzia, dove nel mezzo stava scintillando la targa d’ottone intestata all’assicurazione, uguale a quella che si trovava giù in strada.

«Ciao, Abele! Come stai?» disse la ragazza aprendo la porta. Ambra lavorava lì da dieci anni. Si conobbero quando il padre di Abele morì e l’agenzia fu “rilevata” dalla madre. Abele lasciò l’università per dedicarsi all’arte della vendita di polizze, ma dopo tre anni capì che quella non era la sua strada, quindi lasciò la madre alla guida della carretta, la quale nel frattempo si era perfettamente calata nella parte. Le era sempre piaciuta, Ambra: capelli biondi e lisci, un fisico alto e asciutto che Abele aveva catalogato come “tipo nordico”, per via delle lunghe gambe leggermente arcuate. Un’altra cosa che gli piaceva altrettanto era il suo modo di affrontare le cose: determinato ma dolce, forte ma femminile, un carattere insomma misterioso, mutante, inquietante ed affascinante. Tra Abele ed Ambra non c’è mai stato niente di dichiarato, quindi di serio. Lui era contento che lei fosse della sua tribù, e il fatto di essere consapevole che lei “esisteva” lo rendeva in un certo senso sereno. Ambra aveva un ragazzo, fino a poco tempo prima, lei lo aveva lasciato. Nonostante il campo ufficialmente libero, Abele non osava mostrarsi oltre le sembianze del caro amico.

Al saluto di Ambra entrò nell’agenzia e disse:

«Bene, non c’è male! Sai, se ci fosse un annuncio che dice: “Cercasi sfigato, immensa cultura artistica, sognatore, sano, assunzione immediata”, eccomi qua. Bell’e pronto.»

«Buca, eh?» azzardò Ambra portandosi il dito medio sulla punta del naso.

«Indovinato. Chissà perché c’indovinano tutti! Si vede parecchio? Ce l’ho scritto in fronte, eh?»

«Già. Non sprizzi esattamente gioia da tutti i pori…» rispose Ambra tornando dietro la scrivania.

Seguendola, Abele osservò con attenzione quel vestito di cotone blu scuro, con una giusta scollatura, senza maniche e abbastanza corto, ma con maggior attenzione osservò ciò che c’era sotto: un fisico scattante, flessuoso e una pelle che sembrava voler tenere fede al nome della padrona, con la complicità di qualche giornata di mare.

«Ehm…c’è mia madre?» chiese dopo un impercettibile attimo di distrazione.


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L'appuntamento (capitolo quattro, 4° episodio)

«No, non c'è... è da stamattina che tua madre è in giro per degli appuntamenti con certi clienti. - Ambra si voltò inclinando leggermente la testa - Vuoi che gli dica qualcosa quando la sento?»

«No, no, era così per sapere. Ma… sei sola? E Sara non c’è?»

«No. Sara s’è presa qualche giorno di ferie, e sono un po’ nel casino…Qui si arriva a fine giornata in un battibaleno e pare di non aver fatto nulla, da tanto che i fogli si ammucchiano!»

« E te come stai?»

In queste quattro brevi parole c’era condensato tutto un universo di sensazioni, paure, voglie, senso di protezione, coinvolgimento… Abele le disse sperando, in cuor suo, che la risposta potesse contenere una specie di richiesta di aiuto

«Mah, insomma. Non dormo. Quindi sono stanca, se sono stanca sono irritabile, se sono irritabile sono antipatica. E mi sto sul culo da sola… pensa un po’!» rispose Ambra mentre si sedeva alla scrivania

«Senti, se hai bisogno di qualsiasi cosa… lo sai: io so essere un ottimo ascoltatore!»

«Lo so…grazie!» rispose sorridendo

«Una birrettina a casa tua, stasera? - propose Abele - Così ti racconto tutte le mie disavventure?»

«Si, va bene! Così si fa a gara a chi è più sfigato…Fuori no, perché sono già stanca adesso, figurati…Scusami: Toni Assicurazioni sono Ambra, in che cosa posso esserle utile?» Il telefono aveva suonato e lei rispose prontamente.

«Ci vediamo stasera…» gesticolò Abele uscendo dall’agenzia, mentre la ragazza annuiva con la cornetta all’orecchio. Alzando un pollice come per dire “ok”, regalò uno smagliante sorriso all’amico.


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L'appuntamento (capitolo cinque, 1° episodio)

L’appartamento di Ambra era piccolo, ma arredato in maniera tale da rendere l’atmosfera soffice ad avvolgente come un abbraccio, con un tocco che solo un animo sensibile e femminile come il suo poteva creare. Ambra stava finendo di caricare la lavastoviglie quando il campanello suonò. Andò ad aprire, ad apparve Abele, bello sorridente e con una confezione da quattro bottiglie di birra in mano.

«Operazione soccorso ragazze sedotte e abbandonate in atto!» esclamò Abele portandosi le bottiglie fino alle orecchie.

«Scemo. Entra! Comunque sappi che Alfredo l’ho lasciato io…» Ambra fece accomodare Abele.

«Per come la vedo io, – aggiunse Abele – dal suo comportamento degli ultimi tempi posso concludere che, di fatto, ti ha abbandonata lui! Tu hai solo messo in chiaro la faccenda…»

«La situazione l’ho chiarita, sì, ma ora la vita è buia! Dài, mettiti a sedere…» disse amaramente Ambra chiudendo la porta.

«Puoi mettere queste nella ghiacciaia per qualche minuto? Le ho prese al supermercato, ma non le ho trovate fredde…» Abele porse le birre ad Ambra, la quale disse:

«Dammi qua, mentre ghiacciano si parla un po’… - e afferrò le bottiglie – proprio ieri ho sbrinato il frigo» Ambra afferrò le bottiglie e si diresse in cucina, lanciando un’occhiata di complicità ad Abele che si stava sprofondando sul divano, quasi interamente ricoperto di peluche.

Abbracciami, abbracciami!” gracchiò improvvisamente una voce meccanica. Abele aveva preso in pieno l’orsetto parlante. Si spostò con la schiena e tolse l’orsetto da dietro, per guardarlo poi con nostalgia.

«L’orsetto Balù. Ti ricordi? Me lo regalò Alfredo per il mio compleanno…» esclamò Ambra mentre stava tornando dalla cucina.

«Sì, me lo ricordo. Carino…»

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L'appuntamento (capitolo cinque, 2° episodio)

«Vado pazza per i peluche! Ne ho una ventina, ma questo è il mio preferito!» Ambra si sedette sul divano accanto ad Abele e prese Balù in collo.

«Ambra, – disse Abele sorridendo – io ti conosco da nove anni, vero?»

«Più o meno…sì, nove anni. Perché?» chiese Ambra stupita.

«Anche a quel tempo ti piacevano i pupazzi di peluche, e dissi a me stesso: ”questa ragazzina ci gioca ancora…”. Adesso hai la stessa passione, e non sei più una ragazzina…E’ bello!»

«Vuoi dire che sono una ragazza infantile? Che non sono matura?» rispose con l’aria fintamente risentita

«Assolutamente no! C’è gente che è infantile sul serio, anche se agli altri questo non sembra solo perché giocano con giocattoli fatti per persone adulte. Tanti non si rendono conto che fanno gli ipocriti…Tu sei così, sei al naturale, e va bene così!»

Ambra guardò Abele per un attimo, sorridendo, poi aggiunse:

«Alfredo mi diceva sempre che non ero mai cresciuta…» Abele ribatté:

«Non è vero! Sei te stessa!» Avrebbe voluto aggiungere anche: “invece sei cresciuta, e neanche tanto male”, ma tacque.

Ambra continuò:

«Diceva che per i primi tempi lui trovava eccitante il fatto di dovermi insegnare qualcosa, dovermi guidare dove inciampavo. Però con il passare del tempo s’è stancato. Mi diceva: “ma è possibile che tu non abbia un hobby?”. Oppure: “vorrei sapere perché non ti interessi mai a niente…”. Alla fine io ho staccato la spina, non ce la facevo più. Era uno stress…»

«Il fatto è che ti interessi di cose di cui a lui sicuramente non importava un fico secco…» disse Abele cercando di mantenere un tono distaccato.

«Vedi, Ambra - continuò Abele - io credo che ci siano persone che “credono” di aver trovato la persona giusta, poi con il tempo si accorgono che c’è qualcosa che non va. Allora cercano di colmare questa incongruenza in qualche modo, cercando di cambiare l’altra persona. E non credo che questo significhi amare. Amare fino in fondo vuol dire accettare, e saper capire.»

«Vuol dire soffrire…» aggiunse con tristezza Ambra, con lo sguardo perso nel vuoto.

«Una vita senza sofferenza non vale la pena di viverla…» sentenziò Abele.

«Mah, su questo ci sarebbe da discutere parecchio!»


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L'appuntamento (capitolo cinque, 3° episodio)

«Dì la verità…Tu aspetti il classico principe azzurro, che ti faccia salire sul suo cavallo bianco e tutti vissero felici e contenti. Non è così?»

«Scherzaci pure, ma fa faccenda è tragica. Il fatto è che non vorrei invecchiare da sola…ho paura di invecchiare! Prendi tua madre: le è successa una disgrazia, d’accordo, però ci metterei la firma per arrivare alla sua età ed avere il suo aspetto! Sembra mia sorella, quasi… E proprio non capisco come mai non abbia ancora trovato un compagno…»

«Beh, sai…Forse gli impegni dell’agenzia sono tali che la assorbono completamente, e per ora non trova tempo per il resto…» Abele buttò lì una giustificazione, ma riconosceva tra sé e sé che, in fondo, Ambra aveva ragione.

«Comunque sia, tu a quell’età non ci arriverai da sola! Ci sarà pure qualcuno che sopporterà tutti questi pupazzi…Senti, prima che scoppino le bottiglie di birra nel freezer, si beve un goccetto?»

«Ok, vado a prenderle…» Ambra si alzò dal divano, lasciando il peluche nell’angolo

« Bicchiere o bottiglia?»

« Bottiglia, bottiglia…» mormorò Abele mentre osservava l’orsetto Balù, pensando che tutti quei pupazzi li avrebbe sopportati benissimo.

La serata trascorse serenamente, parlando del più e del meno, del lavoro in agenzia, delle batoste ricevute ai colloqui, di Alfredo. Erano le undici e mezza, quando Abele rientrò a casa. Sbadigliando, chiuse la porta e si diresse nella saletta. Buttò la maglia di cotone sul divano, accanto ai giornali che aveva acquistato nel pomeriggio. Si sedette e decise di darci un’occhiata: gli interessavano soprattutto gli annunci delle ditte in cerca di personale. Ormai era impellente la necessità di avere a disposizione del denaro, le risorse si stavano esaurendo e le bollette, o meglio le aziende che le emettevano, esigevano a gran voce un pagamento. Su tutte e tre le riviste che aveva comprato non trovò nulla che facesse al caso suo, allora si concesse lo svago di leggere le puttanate scritte nelle rubriche dei messaggi personali. Altre volte le aveva scorse velocemente, secondo lui erano troppo sfacciate per essere veritiere. Nonostante tutto era allegro, complice la birra e la piacevole compagnia della serata. Accese la televisione e facendo zapping alla TV iniziò a scorrere gli annunci di "offerte private".

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L'appuntamento (capitolo cinque, 4° episodio)

«Ma guarda qui…» mormorò allungando il collo

Giovane garzone cerca bella bottegaia bisognosa d’aiuto per fare l’inventario in magazzino”

«…le inventano di tutte! Questa poi: “Giovane palestrato, dotato, non effeminato, fuori da giri particolari, cerca uomo villoso, non grasso, per ore liete”. Vorrei sapere con che coraggio questo si dichiara “fuori da giri particolari”!»

Andò ancora avanti a leggere, divertendosi un po’.

«Ecco: “Prima volta in città, Tamara, riceve su appuntamento…eccetera eccetera”. E questa? “Appena arrivata in città, Vanessa, quinta misura, vera bomba…”. Ancora: “ Luna, appena arrivata in città…”»

«Però!» esclamò divertito;

poi immaginò la scena:

"Se uno andasse alla stazione, ci trova un via vai di ragazze con la valigia in mano! Chissà cosa mi risponderebbe una ragazza appena scesa dal treno, se le domandassi: -Scusa, vedo sei appena arrivata… mi dai un appuntamento per una sveltina?- Una valigiata in testa, mi dà!"

Girò pagina e continuò, sempre più curioso. Lesse, tra gli altri annunci, quello di un certo “Antonio, bella presenza e ottima cultura, si offre come accompagnatore e PR per incontri, viaggi, week-end. Solo donne”.

Ci fu un tempo indeterminato, durante il quale cambiava automaticamente canale con il telecomando nella mano sinistra, in quella destra teneva la rivista e aveva lo sguardo perso nel nulla come un pesce lesso. Finalmente si destò dalla catarsi e volò al telefono, per comporre il numero di Paolo:

«Ciao, sono io! Ci sei domani? Cioè… ce l’hai un po’ di tempo?»

«Cavolo, Abele! Ma lo sai che ore sono?» rispose Paolo con voce seccata.

«No…non lo so, che ore sono? Che ti disturbo forse?»

«Lascia perdere… cosa c’è, è successo qualcosa?» disse Paolo mentre si ritirava dal collo di una giovane donna per poi bisbigliarle nell’orecchio: “scusa, Laura, arrivo subito..”

«Scusami, e sappi che t’invidio, me lo immagino quello che stai facendo…No, non è successo nulla di grave, tranquillo. Però ti chiedo di incontrarci al solito bar, a pranzo, domani! Ti devo parlare urgentemente!»

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