L’albergo
Superga si trovava in un antico palazzo, con la facciata ricca di
fronzoli, archi e colonne, di color crema. Era uno di quelli a
quattro stelle, e faceva la sua bella figura, anche se l’arredamento
risaliva a diversi anni addietro. Trovarlo fu relativamente facile.
Il centro cittadino, dove si trovava l’albergo, si percorreva
meglio a piedi che in macchina, inoltre l’aria si era un po’
raffrescata, rispetto ai giorni precedenti. Abele parcheggiò in un
viale ai margini del centro storico e s’incamminò verso
l’obiettivo.
Per
sicurezza, chiese informazioni in un bar. Aveva sete, ma era anche un
po’ nervoso, allora ordinò un analcolico rosso che trangugiò
tutto d’un fiato. Quando arrivò al Superga, indugiò sui suoi
passi, come bloccato da una paura invincibile, e sentì una
irrefrenabile voglia di tornare indietro e non pensarci più. Però
fu un pensiero che durò un attimo. Nel momento successivo stava già
pensando a come presentarsi, a come riconoscere quella signora. Gli
sarebbe piaciuto lanciare qualche occhiata dall’esterno
dell’albergo verso la sala d’attesa, non visto, nella speranza di
poter giocare d’anticipo, voleva poter vedere la “cliente”
prima che lei vedesse lui, tirare le dovute conclusioni per poi
decidere se andare avanti o dargli il bidone. Purtroppo le tende
erano chiuse, quindi per saperne di più Abele sarebbe dovuto
entrare, e chiedere di Monna Lisa al portiere, come diceva il suo
secondo telegrafico messaggio. Abele raccolse tutto il suo coraggio e
la faccia tosta che poteva trovare e s’infilò dentro la porta
d’ingresso dell’albergo.
Il
salone era abbastanza ampio, caldo e confortevole come tutti i saloni
degli alberghi di un certo livello. Moquette in tinta con la
tappezzeria, che facevano da contraltare cromatico con le tende ed il
colore del soffitto. Sulla destra c’erano delle poltrone ed un
tavolino, che avevano la funzione di salottino di passaggio. Non
c’era nessuno, lì, in quel momento. Di fronte salivano quattro
scalini che andavano verso un salone, che doveva essere più ampio
del locale d’ingresso. Probabilmente lì c’era il bar ed una
televisione, perché si sentiva in lontananza la voce del
telegiornale. Sulla sinistra c’era il bancone della reception, di
legno intarsiato, con il piano di panno verde, coperto da una lastra
di vetro. Al di là del bancone c’era il portiere, che stava
leggendo.
Mentre
Abele faceva il suo ingresso nella hall scese dal salone una comitiva
di giapponesi, che usciva per la cena. Con le facce tutte sorridenti
consegnarono le chiavi delle camere, e con una serie di inchini
uscirono, lasciando il portiere con un lieve mal di schiena. Quando
l’ultimo giapponese lasciò l’albergo Abele si guardò attorno,
verso il salone della televisione, ma ancora una volta non vide la
signora che si faceva chiamare Monna Lisa.
© Massimo Rognini
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