L'appuntamento (capitolo dieci, 1° episodio)


L’albergo Superga si trovava in un antico palazzo, con la facciata ricca di fronzoli, archi e colonne, di color crema. Era uno di quelli a quattro stelle, e faceva la sua bella figura, anche se l’arredamento risaliva a diversi anni addietro. Trovarlo fu relativamente facile. Il centro cittadino, dove si trovava l’albergo, si percorreva meglio a piedi che in macchina, inoltre l’aria si era un po’ raffrescata, rispetto ai giorni precedenti. Abele parcheggiò in un viale ai margini del centro storico e s’incamminò verso l’obiettivo.
Per sicurezza, chiese informazioni in un bar. Aveva sete, ma era anche un po’ nervoso, allora ordinò un analcolico rosso che trangugiò tutto d’un fiato. Quando arrivò al Superga, indugiò sui suoi passi, come bloccato da una paura invincibile, e sentì una irrefrenabile voglia di tornare indietro e non pensarci più. Però fu un pensiero che durò un attimo. Nel momento successivo stava già pensando a come presentarsi, a come riconoscere quella signora. Gli sarebbe piaciuto lanciare qualche occhiata dall’esterno dell’albergo verso la sala d’attesa, non visto, nella speranza di poter giocare d’anticipo, voleva poter vedere la “cliente” prima che lei vedesse lui, tirare le dovute conclusioni per poi decidere se andare avanti o dargli il bidone. Purtroppo le tende erano chiuse, quindi per saperne di più Abele sarebbe dovuto entrare, e chiedere di Monna Lisa al portiere, come diceva il suo secondo telegrafico messaggio. Abele raccolse tutto il suo coraggio e la faccia tosta che poteva trovare e s’infilò dentro la porta d’ingresso dell’albergo.
Il salone era abbastanza ampio, caldo e confortevole come tutti i saloni degli alberghi di un certo livello. Moquette in tinta con la tappezzeria, che facevano da contraltare cromatico con le tende ed il colore del soffitto. Sulla destra c’erano delle poltrone ed un tavolino, che avevano la funzione di salottino di passaggio. Non c’era nessuno, lì, in quel momento. Di fronte salivano quattro scalini che andavano verso un salone, che doveva essere più ampio del locale d’ingresso. Probabilmente lì c’era il bar ed una televisione, perché si sentiva in lontananza la voce del telegiornale. Sulla sinistra c’era il bancone della reception, di legno intarsiato, con il piano di panno verde, coperto da una lastra di vetro. Al di là del bancone c’era il portiere, che stava leggendo.
Mentre Abele faceva il suo ingresso nella hall scese dal salone una comitiva di giapponesi, che usciva per la cena. Con le facce tutte sorridenti consegnarono le chiavi delle camere, e con una serie di inchini uscirono, lasciando il portiere con un lieve mal di schiena. Quando l’ultimo giapponese lasciò l’albergo Abele si guardò attorno, verso il salone della televisione, ma ancora una volta non vide la signora che si faceva chiamare Monna Lisa. 
© Massimo Rognini

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