Senza
aggiungere altro ma ringraziando con un cenno della mano, scivolò
via e saltò le scale, entrando nell’altra sala, dove c’erano
anche lì delle poltrone, un tavolo con i quotidiani del giorno, una
porta che introduceva al ristorante ed una apertura ad arco che
portava al bar. Ancora una volta, da dove si trovava Abele non aveva
modo di poter controllare in anticipo lo stato di conservazione della
signora dell’appuntamento. Per saperlo doveva oltrepassare
quell’arco.
Lo
fece.
Entrando,
la coda dell’occhio vide nell’angolo a sinistra una figura
femminile, seduta ad un tavolino. Prima ancora di voltare lo sguardo
sentì una voce, provenire proprio da quell’angolo:
«Abele!
Che ci fai qui?»
Un
colpo allo stomaco scombinò il suo metabolismo. Con una faccia
pietrificata in un’espressione attonita, con un mezzo sorriso,
guardò la signora seduta al tavolino, e rantolò:
«…mamma!
Che… che ci fai qui?»
Seguirono
tre secondi di assoluto imbarazzo per entrambi. Ormai era chiaro, sua
madre era la famigerata Monna Lisa. In quei tre secondi Abele
perccorse con una serie di flash tanti interrogativi a cui
inconsciamente non aveva cercato una risposta, del perché la mamma
non cercava, o non trovava, un compagno, invece di passare la sua
vita al lavoro…
«
O te?» disse lei.
Altro
che solitudine! In qualche modo si dava da fare!
O
forse era tutto un equivoco, un tragicomico e grottesco caso?
Comunque, doveva trovare una risposta convincente circa la sua
presenza in quell’albergo. Sperava anche in una spiegazione
accettabile da parte di sua madre. Voleva fare in modo che nessuno
dei due si trovasse imbrigliato in una situazione palesemente
sgradevole, allora cercò di salvare capra e cavoli. Farfugliando, un
po’ disse:
«Sai…io…sono
qui per un incontro con un cliente, forse riesco a vendere
un’enciclopedia…»
Era
sicuro che sua madre avrebbe detto lo stesso, cioè che si doveva
vedere con un cliente
«E…te?
Come va il meeting? Noioso?»
La
signora Beatrice, vestita con un tailleur nero, tacchi a spillo e
borsetta nero lucido, sembrava da vetrina. Era ancora seduta al
tavolino e riusciva a controllarsi benissimo. Il suo problema
consisteva nel far sparire suo figlio al più presto. Perché sarebbe
potuto arrivare Cicciobello da un momento all’altro. Aveva bevuto
la storia del figlio.
«Sì,
il meeting è una palla, sempre le stesse storie. Tant’è vero che
continuo a cercare affari. Proprio stasera devo incontrare un grosso
cliente, un futuro cliente… vuole portare tutto da noi: case
automobili, integrative-pensioni, il cane, tutto! Approfitto del
fatto che sono qui a Firenze per incontrarlo perché è di qui, è
sempre in giro per lavoro, se aspetto che venga in ufficio… non lo
beccherò mai!»
«Capisco…»
cercò
di inserire il fattore fuga:
«Peccato
che non ti possa far compagnia! Accidenti sono già in ritardo, con
quel cliente! Forse ho sbagliato posto! Bisogna che gli telefoni,
magari mi aspetta da qualche altra parte…Ciao, e fai buoni affari!
Ci sentiamo nei prossimi giorni…»
«Ciao
Abele, buona fortuna!»
Uscì
dal bar con il cellulare in mano, facendo finta di telefonare al
cliente fantasma. Scendendo le scale che portano al salone d’ingresso
vide il portiere e passandogli davanti decise di compiere l’ultimo
atto della commedia:
«Senta,
mi scusi! Ho avuto un grave contrattempo…M’è morto uno zio…»
e
agitò il cellulare ancora aperto «mi
hanno telefonato ora… La signora “Monna” non l’ho trovata,
non ho fatto in tempo. Devo scappare via, se passa da qui, le può
dire che…»
agitò
il telefonino sotto il naso del portiere «…una disgrazia… lo
zio…Le porga le mie scuse! Arrivederci!»
Il
portiere guardò il giovane che si allontanava a passo svelto:
«Non
si preoccupi, ci penso io…Le mie condoglianze!» disse mentre
l’altro attraversava il portone. In quel momento trillò il
cellulare per davvero. Mentre si allontanava dall’albergo, rispose:
«Pronto?…Cesare!
Ci mancavi solo tu, stasera!»
Voltandosi
verso l’albergo, dopo aver prontamente riattaccato, vide sua madre
che parlava con il portiere, per voltarsi lentamente verso l’esterno,
a guardare con un’espressione triste suo figlio.
© Massimo Rognini
© Massimo Rognini
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