L'appuntamento (capitolo dieci, 3° episodio)


Senza aggiungere altro ma ringraziando con un cenno della mano, scivolò via e saltò le scale, entrando nell’altra sala, dove c’erano anche lì delle poltrone, un tavolo con i quotidiani del giorno, una porta che introduceva al ristorante ed una apertura ad arco che portava al bar. Ancora una volta, da dove si trovava Abele non aveva modo di poter controllare in anticipo lo stato di conservazione della signora dell’appuntamento. Per saperlo doveva oltrepassare quell’arco.
Lo fece.
Entrando, la coda dell’occhio vide nell’angolo a sinistra una figura femminile, seduta ad un tavolino. Prima ancora di voltare lo sguardo sentì una voce, provenire proprio da quell’angolo:
«Abele! Che ci fai qui?»
Un colpo allo stomaco scombinò il suo metabolismo. Con una faccia pietrificata in un’espressione attonita, con un mezzo sorriso, guardò la signora seduta al tavolino, e rantolò:
«…mamma! Che… che ci fai qui?»
Seguirono tre secondi di assoluto imbarazzo per entrambi. Ormai era chiaro, sua madre era la famigerata Monna Lisa. In quei tre secondi Abele perccorse con una serie di flash tanti interrogativi a cui inconsciamente non aveva cercato una risposta, del perché la mamma non cercava, o non trovava, un compagno, invece di passare la sua vita al lavoro…
« O te?» disse lei.
Altro che solitudine! In qualche modo si dava da fare!
O forse era tutto un equivoco, un tragicomico e grottesco caso? Comunque, doveva trovare una risposta convincente circa la sua presenza in quell’albergo. Sperava anche in una spiegazione accettabile da parte di sua madre. Voleva fare in modo che nessuno dei due si trovasse imbrigliato in una situazione palesemente sgradevole, allora cercò di salvare capra e cavoli. Farfugliando, un po’ disse:
«Sai…io…sono qui per un incontro con un cliente, forse riesco a vendere un’enciclopedia…»
Era sicuro che sua madre avrebbe detto lo stesso, cioè che si doveva vedere con un cliente
«E…te? Come va il meeting? Noioso?»
La signora Beatrice, vestita con un tailleur nero, tacchi a spillo e borsetta nero lucido, sembrava da vetrina. Era ancora seduta al tavolino e riusciva a controllarsi benissimo. Il suo problema consisteva nel far sparire suo figlio al più presto. Perché sarebbe potuto arrivare Cicciobello da un momento all’altro. Aveva bevuto la storia del figlio.
«Sì, il meeting è una palla, sempre le stesse storie. Tant’è vero che continuo a cercare affari. Proprio stasera devo incontrare un grosso cliente, un futuro cliente… vuole portare tutto da noi: case automobili, integrative-pensioni, il cane, tutto! Approfitto del fatto che sono qui a Firenze per incontrarlo perché è di qui, è sempre in giro per lavoro, se aspetto che venga in ufficio… non lo beccherò mai!»
«Capisco…»
cercò di inserire il fattore fuga:
«Peccato che non ti possa far compagnia! Accidenti sono già in ritardo, con quel cliente! Forse ho sbagliato posto! Bisogna che gli telefoni, magari mi aspetta da qualche altra parte…Ciao, e fai buoni affari! Ci sentiamo nei prossimi giorni…»
«Ciao Abele, buona fortuna!»
Uscì dal bar con il cellulare in mano, facendo finta di telefonare al cliente fantasma. Scendendo le scale che portano al salone d’ingresso vide il portiere e passandogli davanti decise di compiere l’ultimo atto della commedia:
«Senta, mi scusi! Ho avuto un grave contrattempo…M’è morto uno zio…»
e agitò il cellulare ancora aperto «mi hanno telefonato ora… La signora “Monna” non l’ho trovata, non ho fatto in tempo. Devo scappare via, se passa da qui, le può dire che…»
agitò il telefonino sotto il naso del portiere «…una disgrazia… lo zio…Le porga le mie scuse! Arrivederci!»
Il portiere guardò il giovane che si allontanava a passo svelto:
«Non si preoccupi, ci penso io…Le mie condoglianze!» disse mentre l’altro attraversava il portone. In quel momento trillò il cellulare per davvero. Mentre si allontanava dall’albergo, rispose:
«Pronto?…Cesare! Ci mancavi solo tu, stasera!»
Voltandosi verso l’albergo, dopo aver prontamente riattaccato, vide sua madre che parlava con il portiere, per voltarsi lentamente verso l’esterno, a guardare con un’espressione triste suo figlio.

© Massimo Rognini

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