L'appuntamento (capitolo dieci, 2° episodio)


 “Vuoi vedere che mi aspetta nella sua camera!” pensò con sgomento. Se era così, si metteva male per l’eventuale fuga, necessaria se la cliente si fosse rilevata la classica “tardona grinzosa”: una volta bussato alla porta della camera, come avrebbe fatto a defilarsi se gli avesse aperto una vecchia carcassa? Forse poteva cavarsela con: “ Oh…! Mi scusi, cercavo la mia fidanzata, ma ho sbagliato stanza…”
Mentre pensava preoccupato a tutti possibili tragici eventi e come eventualmente uscirne in modo elegante, si accorse che il portiere lo guardava sorridendo, mentre diceva:
«Buonasera, signore. Posso esserle d’aiuto?»
«Oh…buonasera! Io…»
In quell’istante Abele era a corto di idee. Cercava un modo per chiedere al portiere dove fosse quella signora, e magari che aspetto avesse, ma in quelle frazioni di secondo che aveva a disposizione non trovò nessuna formula che riteneva adatta. Alla fine, disperato, si aggrappò alla soluzione che gli pareva più logica, in quel contesto: avrebbe “trasformato” il nomignolo Monna Lisa, che in effetti poteva dare adito alle interpretazioni più varie, come l’appartenere ad una perpetua fino ad una puttana d’alto bordo, in un semplice cognome seguito dal nome.
«Io…avrei un appuntamento con la signora Monna, Monna Marialuisa. Mi aveva detto che l’avrei trovata qui…» Abele aspettava preoccupato la reazione del portiere.
Il portiere lo fissò da sopra gli occhiali per un istante, che parve eterno.
«Ah, sì! » disse finalmente, chinandosi per controllare i biglietti da visita e gli appunti che erano sparsi sul retro del banco. Dal mucchio tirò fuori un foglietto ed esclamò:
«Ecco qu: la signora Monna è di là al bar. Salga le scale, qua sopra, guardi…ed entri nella sala che trova alla sua sinistra. La sala bar è là!»
Anche il portiere sembrava aver interpretato “Monna” come un cognome. Forse, pensò Abele, la signora stessa si è presentata così per dare meno nell’occhio.

© Massimo Rognini

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