L'appuntamento (capitolo sette, 3° episodio)

«Prooonto?…Cicciobello caro, ciao! Vorrei conoscerti…» Una voce effeminata sorprese Abele, che ribatté:

«Ma…Chi parla?»

«Io mi chiamo Cesare…

«Cesare?? Ma…»

Abele era più che certo che il numero del suo telefonino lo sapeva lui stesso, Paolo, il commesso che gliel’ha venduto e soltanto qualche migliaio di persone che avessero letto i suoi annunci, compreso statisticamente qualche persona dai gusti sessuali i più svariati. Quindi non poteva che essere uno di queste ultime.

«Scusi, signor Cesare, ma forse c’è un equivoco! Nel messaggio ho chiaramente specificato che…»

«Che vuoi solo signore, l’ho letto! Però, non sai che cosa ti perdi…» l’interruppe con un tono intrigante l’altro.

«Lo so, invece! – si spazientì Abele – E lo so e basta!» precisò. Intanto Paolo si stava piegando in due dalle risate soffocate.

«Cicciobello, ma dài…» il misterioso interlocutore continuò a miagolare al cellulare.

«Signor Cesare, ora basta! La saluto!» Abele chiuse lo sportellino del cellulare con una manata, sbuffando:

«Come inizio non c’è male…»

Paolo si stava asciugando gli occhi dalle lacrime, da tanto che aveva riso.

«Dài, connettiamoci ad Internet, vediamo piuttosto se qualcuno… anzi “qualcuna”, ha spedito posta…e smetti di ridere!» disse Abele sperando in un riscatto. Ma la casella era ancora vuota, c’era solo il messaggio di benvenuto del gestore del servizio del collegamento. Mentre Paolo stava spiegando il significato di quel messaggio, suonò ancora una volta il telefonino.

Sguardo pietrificato. Paolo rideva già…

«Pronto?…» Abele rispose timidamente, temendo che fosse ancora quel Cesare che tornava alla carica. Invece era la voce pacata e tranquilla di una donna. Però neanche questo bastava a tranquillizzarlo.

«Buonasera, lei è il signor…Cicciobello?»

«Ehm…Sì, sì, sono io…Buonasera!» A quel soprannome Abele non c’era abituato.

«Mi scusi dell’ora, non so se in questo momento è impegnato, ma…»

«No, no, la prego… continui!»

Era una di quelle voci che per telefono si immaginano appartenere ad una parente stretta di Venere. Paolo stava osservando con gli occhi spalancati, incitando con le mani l’amico. La donna riprese a parlare:

«Ecco, mi chiedevo se domani pomeriggio fosse disponibile ad accompagnarmi in città. Ho letto l’annuncio sulla rivista, e adesso… beh: sentendo il suo accento… Lei è di queste parti, vero? Poi la rivista è della zona…Insomma: mio marito è fuori per un meeting per tutta la settimana. Per domani le propongo una visita ad una mostra di quadri. Sa, certi miei amici ci tengono tanto, devo andarci, ma da sola mi fa tristezza! Più tardi, in serata, potremmo andare in un ristorante e…Pronto, mi sente?>>

«Eh…Sì, sì, ci sono, eccomi qua…>> Abele era frastornato da quel fiume di parole che uscivano da una bocca che si immaginava carnosa, sensuale, con delle minuscole rughette che nascevano quando veniva accennato un sorriso. “Ora mi butto!” pensò, e prese accordi per l’appuntamento. Si sarebbero incontrati il pomeriggio successivo alle sedici e trenta, di fronte all’edicola di via Frattini, dove c’era la piazza. Lui l’avrebbe riconosciuta dal vestito bianco e nero, e dalla borsetta rossa. Abele non specificò nessun elemento di riconoscimento. Per il pagamento della “prestazione”… non ci pensò neanche. Non si può fare tutto in un botto le cose per bene.

«Beh, allora…d’accordo così! Domani ci incontreremo sul posto…Buonanotte!» Chiuse il telefonino, immaginando cosa sarebbe successo il giorno dopo, con un certo alone di incertezza. Sperava comunque di aver appena parlato con una donna niente male, a giudicare dalla voce.

«Bel lavoro!» esclamò Paolo

«Adesso dipende da te: ce l’hai in pugno! Senti, ora devo scappare perché voglio vedere se la Rosita è sempre a casa, ma domani sera…anzi no: domani sera sei impegnato! Domani l’altro mattina ci sentiamo, d’accordo? Ciao!»

«Ciao, Paolo, salutami Rosita…»

Non conosceva Rosita, però in quel momento le parve più abbordabile, se non altro attraverso quel donnaiolo di Paolo, di quella sconosciuta voce femminile che aveva salutato tre minuti prima. Una volta che Paolo se ne andò, non gli restò altro da fare che navigare un po’ in Internet, finché il computer si piantò.

Allora spense tutto e se andò a dormire.

© Massimo Rognini

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