L'appuntamento (capitolo otto, 1° episodio)

Per il pomeriggio dell’indomani Abele si vestì di tutto punto: completo di lino, camicia bianca aperta sul collo, mocassini marroni. E, anteprima assoluta, gel sui capelli. Era tardi, perché erano già le quindici e trenta. Decise dunque di andare con l’automobile, anche se questo significava dover trovare un parcheggio a pagamento, perché via Frattini era in centro. Arrivare in ritardo al primo incontro non gli pareva la cosa migliore. Appena finì di vestirsi e di darsi il dopobarba, uscì di casa a corsa, per prendere le scale, salire sulla Uno e partire. Il posto per parcheggiare la macchina non lo trovò vicinissimo al luogo dell’appuntamento:

«Accidenti! – mugugnò – Già con la Uno faccio la figura dell’acconciatore di pelli da calzature, e se ci vuole anche una bella scarpinata, con questo sole si puzza come le capre…!»

Era preoccupato, era il primo appuntamento al buio, in un contesto per lui completamente nuovo. Pensò anche che gli sarebbe piaciuto se Paolo lo avesse accompagnato in incognito, come un’ombra nascosta, che si sarebbe dileguata se all'appuntamento si fosse presentata una donna, anche se non bella come il sole, perlomeno accettabile. Pensò anche che in fondo era meglio così, certe cose vanno affrontate di persona, da soli.

Stava passeggiando velocemente in un vicolo che sbucava alle spalle dell’edicola di via Frattini. Il baracchino era nell’angolo tra la strada e la piazza che porta lo stesso nome. Guardò ansioso l’orologio mentre stava attraversando la strada: erano le sedici e ventiquattro, praticamente in orario. Diede un’occhiata in giro, ma non vide nessuna signora vestita di bianco e nero con borsetta rossa. Saltò i gradini che portavano alla parete destra del chiosco, e con fare deciso svoltò l’angolo di quest’ultimo, verso sinistra, portandosi sulla parte frontale, quella da dove sbuca il giornalaio. Ciò che accadde nei successivi attimi fu proprio quello che di solito dura il tempo eterno di un secondo. Due metri avanti a lui una figura vestita con una camicetta bianca ed una gonna nera, con borsetta rossa annessa, gli dava le spalle, e stava osservando la piazza che si apriva davanti a lei. Un metro e sessanta, per un peso stimato di settantacinque chili, si voltò in quell’istante come mosso da un’alchimia misteriosa, come se avesse riconosciuto quel profumo che la sera prima aveva annusato al telefono, e mostrò un viso che dimostrava tanti anni quanti erano i chili, sorretto da innumerevoli doppi menti, e un po’ più su un grosso naso a patata sorreggeva un paio d'occhiali che parevano due fondi di bottiglie di Chardonnay. La figura finì di voltarsi accennando ad un sorriso, provocando grandi e grasse rughe. Abele, che stava esaurendo lo slancio della svolta sull’angolo, appena valutata d’istinto la situazione, di scatto si voltò verso il giornalaio:

«Scuzi…Afere foi ciornale “Der Spiegel” ya?» Il giornalaio buttò sul piattino una copia del quotidiano tedesco.

«Duemilacinquecento…» disse l’uomo, squadrandolo in modo strano. Abele allungò frettolosamente i soldi, prese la copia e precipitosamente aggiunse:

«Aufwiedersen! »

Mentre scappava via con il “Der Spiegel”, e il giornalaio tentava di rispondere in qualche modo in tedesco per fare bella figura, la signora in bianco e nero si rigirò, e tornò delusa ad osservare la piazza.

© Massimo Rognini

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