Perché?


Perché voglio mettere in Rete un racconto che scrissi oltre dieci anni fa! Avevo a disposizione un blog già attivo, ma la sua natura è prevalentemente "visiva", fatta di immagini, quadri, disegni.
Ho iniziato a pubblicare su quel blog qualche stralcio iniziale, dove posto i miei lavori di pittura, ma mi sono reso conto che tutto questo ne avrebbe stravolto lo spirito di base per il quale è stato creato.
Ecco quindi un "luogo" diverso, dedicato a qualcosa di scritto.
A rileggerlo adesso, mi accorgo di quanto tempo è passato... e quanta strada ha fatto la tecnologia, il mondo delle comunicazioni. Rappresenta, per certi versi, uno spaccato di quei tempi: e rappresenta me, tutto sommato.
Dal punto di vista strettamente letterario e grammaticale, mi verrebbe voglia di correggere dei punti, di svilupparne altri. La cosa più ostica, però, riguarda il fatto che la storia non è finita: la lasciai a metà, a quei tempi. Chissà che non trovi nuova forza e nuove idee per terminarlo.
Buona lettura!
Massimo

L'appuntamento (capitolo uno, 1° episodio)

I due giovani ondeggiavano sul letto, nella notte silenziosa. La casa era deserta, e l’atmosfera che riempiva la camera era argentea, quasi azzurra. L’armadio era aperto ed una maschera di carnevale era lì appesa, come se stesse spiando. C’era anche un giradischi con la puntina dimenticata nell’ultimo solco del disco in vinile. Si sentiva il “toc” che scandiva il tempo: quello scorrere della vita per quei due corpi sembrava essersi fermato, mentre si abbracciavano sul letto verde, con la testata fatta come la testa di una rana. Gli occhi erano fosforescenti. Il ragazzo e la ragazza si rincorrevano tra le lenzuola, e quando si scontravano si stringevano forte. Il mondo fuori di quella stanza non esisteva. I respiri erano ansimanti, le labbra si cercavano, le mani esploravano, il petto fremeva, avido.

«Mmmh, sì …»

« Dai, toglitelo…»

« No, toglilo tu…»

«Te lo strapperei ! »

Il corpo di lui cadde carico di passione su quello di lei.

“Abbracciami, abbracciami !“

Era l’orsetto parlante di peluche, uno di quelli che se gli si tocca il pancino dicono una cosa e se gli si tocca il naso, un’altra ancora: era stato schiacciato inavvertitamente da una gomitata. Quello era soltanto uno della decina di pupazzi che corredavano il letto, e tutti facevano compagnia ai due amanti.

«Cos’è ?»

esclamò lui, agguantando il peluche per buttarlo via. Lo afferrò per l’orecchio, e il pupazzetto gracchiò ancora: “Questo mi piace!”. Il ragazzo fu preso dalla smania:

« Via tutto, via tutto! » Presero il volo una rana, poi un coniglietto. Allora la ragazza intervenne con voce mielosa:

« No, ti prego, non così…» Invece volò anche il topolino, ed infine una sveglia. Quella sveglia se ne stava, fino a quel momento, sepolta tra i peluche, e in silenzio. Invece piano piano la sua voce incominciò a farsi sentire, prima lontana, poi sempre più vicina. Allora lui la prese e la buttò per aria come gli altri pupazzi, ringhiando come un cinghiale. La sveglia, invece di cadere, si materializzò sul comodino d’Abele, e trillò finché una mano pesante, accompagnata da un grugnito, come di cinghiale appunto, non cadde sull’arnese infernale, ammutolendola. Come un giudice, quella mano aveva decretato la fine di una notte agitata da un sogno e l’inizio di un nuovo giorno.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo uno, 2° episodio)

«No…è già mattina!»

A peso morto profondò nel cuscino, come se avesse preso una mazzata tra capo e collo. Raccolse tutte le sue forze e s’issò a fatica a sedere sul letto, afferrò a tentoni la maglietta che aveva abbandonato sopra le coperte la sera prima, e con gli occhi chiusi dal sonno se la infilò, regolarmente alla rovescia. Inforcò le ciabatte e si diresse barcollante verso il bagno, uno stanzino formato cella che era il suo punto di riferimento ogni mattina, appena alzato: là dentro, infatti, veniva dissolta la patina dell’intontimento con una passata d’acqua fredda, e l’anima vi si sollevava liberandosi del peso del giorno precedente. Dopo essersi lavato il viso e aver ripreso conoscenza, piano piano si trascinò in soffitta, dove aveva sistemato la panchina con gli attrezzi per fare ginnastica, con i pesi in ghisa e bilancieri di varia lunghezza.

Sei chili sono anche troppi - pensò risoluto quella mattina – meglio non esagerare”.

Faceva esercizi tutte le mattine. Afferrò quattro pesi da un chilogrammo ed altri da cinquecento grammi e li infilò sui manubri, facendo poi scattare il gancio. Tre serie d'esercizi di sollevamento per i bicipiti furono sufficienti per ridurlo bagnato come un’anguilla, da tanto era riuscito a sudare con quel poco movimento. La mattina era calda e l’attrezzatura era sistemata proprio sottotetto, quindi l’aria era già pesante nonostante fossero le otto, ma d'altronde, non riuscendo mai a raggiungere un buon allenamento, si sarebbe infradiciato anche con una temperatura di dieci gradi. Passò in rassegna anche gli esercizi per i deltoidi, e prima di ripensarci decise di fare anche una corsa nel parco di fronte a casa, ma non più lunga di venti minuti: non voleva essere eccessivamente stanco. Poco dopo avrebbe dovuto sostenere un colloquio con il responsabile di un’agenzia di pubblicità: non voleva correre il rischio di addormentarcisi davanti, mentre gli stava presentando i suoi disegni ed i suoi progetti. Era, quella, una delle rare opportunità su cui contava parecchio: sperava di poter guadagnare un’assunzione o almeno una collaborazione. Si tamponò alla meglio il sudore con un asciugamano che teneva lì vicino agli attrezzi, s’infilò le vecchie scarpe da corsa, pantaloncini, cappellino, e, come ogni cultore del jogging che si rispetti, agguantò il lettore di cassette, le cuffie e si tuffò per le scale per raggiungere il parco.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo uno, 3° episodio)

Quello di cui aveva bisogno era quel tipo di stanchezza leggera, che dolcemente fa indolenzire i muscoli quel tanto che basta, e che fa sentire rilassati. Al colloquio voleva essere perfetto. Nel parco non c’erano tante persone, ma qualcuno si voltava a guardarlo incuriosito, solo perché aveva addosso la maglietta palesemente alla rovescia, l’aveva così da quando l’aveva messa ad occhi chiusi, ancora rappresi dal sonno. Dopo qualche chilometro (quattro, non di più) ritornò verso casa, salì le scale a corsa, ansimando come un asmatico, e quando arrivò davanti alla porta gli parve di sentire, attraverso la musica rock sparata nelle orecchie, il telefono di casa. Si tolse la cuffia e sentì veramente suonare il telefono, un apparecchio di bachelite anni sessanta che si trovava nell’angolo della sala opposto a quello dell’ingresso, in pratica quello più lontano. Aprì la porta e corse all'apparecchio, terminando così l’allenamento mattutino. Tirò su la cornetta, ma con delicatezza, perché la bachelite è fragile, e tentò di rispondere, ma forse aveva esagerato con la corsa: il fiato era latitante, e la bocca aperta, in quell’istante, gli serviva per prendere ossigeno.

«Pronto? Pronto, ci sei?» chiese dall’altra parte una voce spazientita.

« Ss.. » non aveva la forza di rispondere, ancora ansimava.

«Pronto, Abele? Ma… è casa Toni?» alla fine si domandò la voce.

« si... e lampi » gli fu risposto con un filo di fiato. Era la madre di Abele, la signora Beatrice. Una donna sulla cinquantacinquina, ancora bella e piacente, ed era subentrata al marito, morto qualche anno prima, nella gestione dell’agenzia di assicurazioni, la “ Toni Assicurazioni”. Il dottor Tosco Toni era un pezzo grosso della città: plurivotato alle elezioni del consiglio comunale, faceva parte anche del Rotary Club, in qualità di prefetto. La scomparsa del caro Tosco fu una tragedia per tutti. Dopo un breve tempo di senso di smarrimento lei si rimboccò le maniche, forte di quel poco di esperienza acquisita nel campo delle assicurazioni per aver collaborato con il marito nel vendere qualche polizza, così, come passatempo tra lo shopping e il tè con le amiche. Nonostante questo, risultava dipendente dell'agenzia, quindi passò l’esame come agente generale e si buttò nell'impresa. Per i primi tempi l’impegno della signora Beatrice fu determinato da un impulso degno di Madre Teresa di Calcutta, destinato a salvare la carriera prevista per il figlio, il nome dell’agenzia ed il futuro delle ragazze impiegate. Con il passare del tempo, lentamente quell’impulso si trasformò in assoluta determinazione imprenditoriale, e l'impegno che la donna dedicava al lavoro era superiore ormai alle dodici ore su ventiquattro, tralasciando un bel po’ tutto il resto. La signora Beatrice stava telefonando dall’ufficio dell’agenzia:

« Ah! Abele, sei tu! Allora ci sei! Ho chiamato per ricordarti dell’appuntamento»

disse velocemente la donna mentre una sua collaboratrice le versava il primo caffè della giornata

« te lo ricordi? »

« Si, mamma, me lo ricordo! » rispose suo figlio, che si era un po’ ripreso, con tono spazientito, ma addolcito dalla consapevolezza che sua madre non era stressante per cattiveria: era così da sempre.

«Già, però sono le otto e quaranta e scommetto che non sei ancora pronto…Lo sai che quel colloquio è importante… »

« Mamma! Lo so da me che è importante, lo so forse più di te! Non ti preoccupare, non farò tardi. Ciao! »

« Appena sai qualcosa… »

« …Te lo faccio sapere, stai tranquilla. Ci sentiamo, sì... ciao! » tagliò corto Abele, altrimenti faceva tardi sul serio, e attaccò. Corse in bagno, si rinfrescò velocemente sotto la doccia e s’infilò l’accappatoio, avvicinandosi allo specchio. Si scrutò con attenzione, come se tentasse di capire chi aveva di fronte, e si chiese se quel tizio sarebbe stato capace di tenere testa a chi lo avrebbe interrogato al colloquio. Cancellò subito dalla mente l’idea di fare delle prove a voce alta, e iniziò a radersi la barba con il rasoio bilama e sapone spray. Naturalmente la fretta non è amica di tali attrezzi e, infatti, i tagli non mancarono, tanto che alla fine un bel cerotto troneggiava sul mento, a futura memoria. Accese la macchina per il caffè, e mentre quella si riscaldava, velocemente scelse dei vestiti che, secondo lui, (ma solo lui) erano eleganti e che legavano bene come colori: scarpe nere di capretto, pantaloni blu scuro con pences, camicia di cotone a maniche corte color acqua marina e giacca grigio chiaro a due bottoni, nessuna cravatta. Trangugiò il caffè bollente e tentò di trovare al primo colpo la cartella con i lavori da presentare al colloquio, quella dove c’era scritto “curriculum vitae”, ma in realtà conteneva solo disegni. Il colpo riuscì al terzo tentativo, dopo aver rovistato prima nei cassetti del tavolo da lavoro, quindi sul divano sotto i vestiti della sera precedente, lì abbandonati, ed infine trovò la benedetta cartella sopra il tavolo da disegno, ma sotto la maglietta usata per correre, buttata alla rinfusa (ma adesso non era più alla rovescia). Finalmente, era pronto per affrontare il primo impegno della giornata ed uscì raggiante e sicuro di se stesso, all’apparenza ragionevolmente tranquillo. Chiuse il portone di casa, e con il casco in una mano e la cartella nell’altra scese le scale, per raggiungere lo scooter parcheggiato nello scantinato condominiale.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 1° episodio)

L’aria di quella mattina d’estate era cristallina e luccicante, e la città era in pieno movimento, le automobili sbuffavano in coda ai semafori come i pensionati alle poste. Con lo scooter però non c’erano problemi, si poteva passare ovunque. In pochi minuti Abele, serpeggiando nel traffico, arrivò davanti alla sede della “ Art & Design Comunications”, l’agenzia pubblicitaria alla quale aveva chiesto e ottenuto un incontro con il titolare. Quando suonò alla porta gli aprì una ragazza, abbastanza carina con tanti boccoli rossi, che con l’aria inespressiva prima guardò il cerotto, poi le mani e infine gli occhi:

« Sì ? »

« Buongiorno, mi chiamo Abele Toni e… avrei un appuntamento con il signor Bruni, per certi lavori che…ho qua dietro, con me…» La ragazza continuava a squadrarlo, con la faccia seria.

« …ma, c’è il signor Bruni?» chiese mezzo imbarazzato, come per dare una scossa alla ragazza, certo di non aver sbagliato indirizzo. La ragazza rispose:

« Sì, il dottor Bruni è nel suo ufficio. Entri, e si accomodi pure nella saletta, verrà chiamato».

« Comandi!» ribatté con un sorriso entrando nell’ingresso. Si accomodò su una poltroncina, quella d’angolo, e si mise la cartella sulle ginocchia. La ragazza, che era la segretaria, tornò alla sua scrivania, e premette il pulsante dell’intercomunicante:

«Dottor Bruni, è arrivato il signor Toni, per l’appuntamento delle nove…Sì, va bene» . Si volse verso Abele, e disse:

«Ancora qualche minuto, prego».

« Grazie!» disse lui con un sorriso, ma la ragazza dai capelli rossi per tutta risposta si voltò, prese una limetta per le unghie e si concentrò su quella del pollice sinistro.

“E’ strana. Quella ragazza ha qualcosa di strano” pensò aggrottando la fronte, e nell'attesa non gli rimase altro da fare che guardare le illustrazioni delle campagne pubblicitarie dell’agenzia che erano attaccate alle pareti del salottino e, appunto, attendere. Mentre osservava assorto lo slogan di un liquore, cominciò a sentire una voce, che piano piano iniziava nervosamente a salire di volume. Proveniva certamente dall’ufficio del dottor Bruni.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 2° episodio)

« Tu sei un cretino! »

«Allora: questo cliente si è rivolto a noi dopo una stagione non troppo felice per le vendite, e con noi vuole rifarsi. Allora: vuol dire che noi abbiamo la sua fiducia, giusto? Allora: il nostro cliente produce, in questo momento, panettoni, per venderli a Natale, giusto? »

la voce si alzò sempre di più, fino ad urlare:

«E allora, pezzo di rimbambito, tra una settimana dobbiamo presentare la campagna pubblicitaria al cliente che produce panettoni e tu invece fai i cartelloni e lo slogan per le colombe pasquali!! Che c’è, i panettoni hanno messo le ali? Fuori!! Ti do cinque giorni di tempo, e torna a lavoro fatto! Via!»

Abele rimase immobile sulla poltroncina a fissare allibito la porta dell’ufficio del dottor Bruni, che aveva di fronte. e si faceva sempre più piccino. S’immaginò quella stanza come una gabbia, e che dentro ci fosse un leone che ruggiva contro un topolino rintanato in un angolo. La porta si aprì di scatto e il topolino uscì. Tutto scarmigliato e rosso in viso, con delle immagini di colombe tra le mani si diresse verso la scrivania della segretaria:

« Giulia, per favore, mi rispedisci.. anzi, se me la stampi, una copia della commessa della Palmieri, la mia l’ho persa... in questi giorni ho il computer in avaria! Sono andato a memoria, ma… sono uscito leggermente fuori tema. Sai, la fantasia ha preso il volo e... »

« Eccola qua » . La segretaria schiaffò in mano all’uomo la copia della commessa Palmieri, già lì bell'e pronta.

« Grazie! Ci… ci vediamo tra cinque giorni, eh? Speriamo che il capo sia un po’ più calmo… »

« Arrivederci... » disse la segretaria mentre l’uomo scompariva nel corridoio che portava all’uscita.

Abele era senza parole. “Ma che tipo!” pensò, mentre avvertì una punta di antipatia per la ragazza; stava controllando l’agenda sul computer che aveva sulla scrivania. Dopo un attimo sentenziò:

« Signor Toni, si accomodi, prego ». Si alzò, bussò leggermente e subito aprì la porta della gabbia del leone, sulla quale c’era scritto “Art Manager Dott. Bruni”. Con la cartella stretta sul petto la seguì lentamente, non potendo fare a meno di deglutire. La segretaria si affacciò e annunciò:

« Dottor Bruni, c’è il signor Toni per il colloquio ». L’uomo dava le spalle alla porta, ed era in mezzo alla stanza.

© Massimo Rognini

L'appuntamento (capitolo due, 3° episodio)

« Ah, sì! Fallo accomodare!» disse voltandosi. La segretaria scivolò via e Abele timidamente si fece avanti, entrando nell’ufficio. Questo era proprio il tipo d‘ufficio che uno si aspettava da un “Art Manager” di un’agenzia di pubblicità. Sulla destra troneggiava una bella scrivania di legno scuro con un piano di vetro, e sopra regnava un computer con un grande schermo, una lampada nera, qualche foglio, un portapenne. Sulla sinistra c’era un angolo salotto, qualche poltrona attorno ad un tavolino da fumo, e sotto si stendeva un tappeto persiano di colore marrone e rosso. Lì accanto era sistemato un mobile bar con qualche bottiglia di buon whisky, brandy, analcolici e una macchina per il caffè, accesa e con due tazzine sotto. Di fronte troneggiava una lavagna luminosa per le proiezioni, e nell’angolo una lavagna, tradizionale, a grandi fogli bianchi. Tutte le pareti dell’ufficio, come quelle del salotto d’attesa, erano coperte da immagini e slogan create dalla “Art & Design Comunications”. Il dottor Bruni tese la mano ad Abele, e con aria inaspettatamente gioviale sorrise:

« Si accomodi, signor…signor ? »

« Toni, Abele Toni, buongiorno…» rispose un pò preoccupato, mentre l’altro gli stritolava la mano destra, e si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania.

« Bah! Buongiorno un corno… Ma lasciamo perdere, anzi: mi scusi, ma sono uscito fuori dei gangheri. Quel ragazzo è bravo, e parecchio! Però è distratto, chissà dove ha la testa, e questa è una cosa che io non sopporto… » Il dottor Bruni si girò e andò all’angolo bar, dove c’era la macchina da caffè accesa:

« Avevo preparato il caffè, ma ho cacciato via il Rossi prima di farglielo bere. Lo prende lei un caffè?» gli chiese mentre il dottor Bruni cominciava a sorseggiare il suo.

« No, grazie. Il caffè… rende nervosi… »

« Invece per me è un toccasana! Arrivo in ufficio sempre a digiuno, non faccio mai colazione al bar perché non si trova mai un posto per l’automobile, e allora lo prendo qui. Mi dà la carica per la giornata! Allora, veniamo a noi: ha qualcosa da farmi vedere, vero? Sua madre, con l’assicurazione sulla vita mi ha accalappiato, sono diventato suo cliente e mi ha parlato dei suoi lavori, delle sue aspirazioni… »

« Ho una cartella con me, con le ultime ideine, ma... a dire il vero qualcosina l’avevo spedita anche per posta, due mesi fa… » rilevò timidamente, quasi per sminuire il lavoro preparato.

« Ah, sì…Quei progetti che sono arrivati per posta… Sì, quella cartella.. » cercò di ricordare il dottor Bruni ad occhi chiusi, poi li aprì, andando verso la scrivania.

Abele approfittò della pausa per ingraziarselo un po’:

« Sapete, seguo sempre i lavori che escono da quest’agenzia, sia alla televisione sia sui giornali. C’è sempre quel che di originale… Una firma, direi! Per esempio quella pubblicità sui pomodori senza semi era micidiale: il pomodoro senza semi, quella coppia di sposi che rotolava nella salsa, quel gioco di luci…Insomma, forte!» Stava seguendo il capo, quando arrivarono alla scrivania gli porse la cartella che si era portato con sè:

« ... ecco qua...»

« Sì, certo » - rispose il dottor Bruni afferrando le carte

« tentiamo sempre di fare campagne pubblicitarie di tendenza, che cerchino di attirare l’attenzione sul prodotto in modo diverso dall’usuale, ma …veniamo a lei!» disse tagliando corto.

« Ho visto, e vedo, che la mano ce l’ha buona – osservò mentre apriva la cartella e sfogliava il contenuto – e vedo anche che ha delle idee che…potrebbero anche essere studiate con attenzione, non sono male ma… - il dottor Bruni pareva quasi imbarazzato - mi chiedevo: d’accordo, sa usare gli strumenti tradizionali, si vede, ma credo che sappia che in questo campo adesso i supporti di lavoro non sono più il pezzo di carta e le matite. Ma i vari programmi informatici, come fotocomposizione, ritocco, Visual 3D… Li conosce? Non li ha mai usati? »

© Massimo Rognini